L'università da riformare. Che fare dei contratti di ricerca
A due anni da una legge sbagliata. Bisogna alleggerire la fase dal dottorato all’ingresso in ruolo
Le giovani e i giovani bravi, che amano studiare e desiderano far avanzare la conoscenza, sono il sale della terra, ed è beato e fortunato il paese che tratta bene i suoi ed è capace di attirarne dal mondo. In Italia si è ripreso di recente a discuterne, dopo una legge sbagliata che prevede una figura rimasta inattuata (i contrattisti di ricerca). E’ quindi opportuno cercare di capire come stanno le cose e parto perciò da qualche dato.
Come dice il Rapporto Anvur 2023, da noi questi giovani sono un gruppo relativamente piccolo. Nel 2021-22 le borse post dottorato (chiamate assegni di ricerca), che sono in quasi tutto il mondo lo strumento principale dei loro primi anni di relativa indipendenza, erano in Italia quasi 16.000, una cifra molto simile a quella del 2012. Questo a fronte di circa 35-36.000 dottorandi che lavorano alla loro tesi, anche questa una cifra molto simile a quella di 10 anni prima. Ciò vuol dire che prima della “bolla” prodotta dal Pnrr, di cui è difficile predire gli sviluppi, ogni anno hanno preso il titolo di dottorato circa 9-10.000 giovani studiosi, visto che la stragrande maggioranza dei dottorati prevede un ciclo di formazione triennale, che è il minimo previsto dal legislatore. Questi neodottori di ricerca si sono per anni trovati a competere per un po’ meno di 7.000 assegni (tanti sono quelli banditi ogni anno, il che lascia immaginare che la maggior parte degli assegni siano rinnovati per un secondo anno), un collo di bottiglia abbastanza stretto anche se uno tiene conto di quelli tra loro che, come è giusto e normale che sia, trovano subito impiego nell’industria o nell’amministrazione.
Questi assegni sono mal retribuiti: come spesso accade nel nostro paese, il “minimo” previsto e mai aumentato dal 2011 (19.300 euro all’anno, al netto di pochi contributi che però spesso vogliono dire poca previdenza, con la nota positiva che gli assegni sono sostanzialmente esentasse) è di fatto la regola, anche se niente impedisce di bandire assegni di importo più alto. Benché opportunamente prevedano la possibilità per gli assegnisti di svolgere un massimo di attività didattica pari a 40 ore all’anno, contribuendo alla loro formazione e irrobustendo il loro curriculum, essi garantiscono solo di rado agli assegnisti fondi di ricerca propri, come sarebbe invece........
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