menu_open
Columnists
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Che cosa farà l'Europa da grande: sfide e prospettive

43 1
26.05.2024

Tra il sogno federalista di uno stato europeo e l’Unione come è oggi vi è una terza strada per farla diventare qualcosa di più forte. Per reggere alle scosse che si succedono dall’inizio del nuovo millennio, anche considerando i conflitti internazionali in corso

Londra e Mosca, due capitali decisive per e nella storia europea, non fanno oggi parte "dell'Europa" di cui amiamo parlare. Sarebbe quindi meglio discutere di Unione europea, l’inusuale modello di stato che stiamo provando a costruire, piuttosto che di una generica Europa, una precisazione necessaria soprattutto perché l’aggressione russa all’Ucraina e la risposta che le verrà data costituiscono un fattore decisivo nel determinare se e come questa Unione verrà o non verrà fatta. La precisazione ci aiuta cioè a vedere meglio il problema dell’evoluzione di una strana creatura che è difficile per i giuristi europei definire uno “stato” e che tale non doveva essere nelle intenzioni di gran parte dei suoi costruttori, a eccezione della minoranza federalista. Ma tra l’Unione odierna e il sogno federalista di uno stato europeo vi è il mare della storia, che ha nutrito e continua a nutrire pressoché infinite e diversissime forme statuali: se sarebbe irrealistico chiedere oggi alla nostra Unione di farsi compiutamente stato e perseguire questo obiettivo, essa può sicuramente diventare qualcosa che lo sia di più di quel che è, per reggere alle fortissime scosse che si succedono dall’inizio del nuovo millennio.

È questo il problema all’ordine del giorno, un problema la cui soluzione – che potrebbe anche non essere quella in cui spero – dipenderà in parte dagli eventi dei prossimi mesi. Lo affronto partendo per quanto possibile da quelli che sembrano essere dati di fatto e da quelli che è lecito, anche se con meno certezza, considerare tali. Il primo, innegabile, è che la guerra putiniana, l’ultima delle grandi scosse che siamo stati chiamati ad affrontare dopo la crisi del 2008 e il Covid, ha già causato, al di là delle centinaia di migliaia di morti, disastri che non possono essere sottovalutati.

Quello subìto dall’Ucraina è ovvio. Meno ovvio, ma altrettanto imponente è quello che Putin ha inflitto alla Russia, in parte nascosto e comunque attutito dalle gigantesche rendite di cui il paese gode grazie alle sue materie prime. Malgrado il flusso di valuta garantito dalle esportazioni di gas, petrolio, ecc. l’economia russa si sta trasformando in un’economia di guerra, com’era quella sovietica, anch’essa capace di reggere a lungo grazie alle stesse ricchezze. Come dimostrano le sue parole a proposito (“Nel 2024 la Russia spenderà l’8,7 per cento del Pil per difesa e sicurezza. Non è il 13 per cento dell’epoca sovietica, ma pur sempre tanta roba”) e le sue ultime nomine, il pericolo è avvertito dallo stesso Putin, che sta cercando di mettervi riparo. Egli può però fare ben poco, salvo nasconderlo, di fronte al pericolo ben più grave costituito dalla crescente dipendenza di Mosca da Pechino. La sola stazza di quest’ultima (l’economia e la popolazione cinesi sono di dieci volte più grandi di quelle russe) è infatti tale da garantire la nascita di un rapporto diseguale tra la Russia e una Cina che ricorda le umiliazioni e i conflitti del passato e ha enormi interessi in Asia e Siberia, vale a dire in territori russi, cosa che è invece impossibile dire dell’Unione europea a occidente.

Ma il disastro è reale anche per l’Unione europea e i suoi stati membri. Per capirlo basta pensare a quello che abbiamo perso e stiamo perdendo a seguito della rottura con un paese, la Russia, con cui la complementarità, e non solo quella economica, era, sarebbe, e speriamo tornerà a essere, fortissima. Questa perdita, che si........

© Il Foglio


Get it on Google Play