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Il gup del tribunale di Brescia: «Eni-Nigeria, i pm omisero prove per puro calcolo...»

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22.11.2024

«Un preciso calcolo», ovvero «omettere produzioni che avrebbero (ulteriormente) indebolito l’accusa». Sarebbe questo il senso della decisione dell’allora procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e del sostituto Sergio Spadaro di oscurare le prove favorevoli alle difese del processo Eni-Nigeria, conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati.

Una scelta consapevole - a dire del collegio del Tribunale di Brescia, presieduto da Roberto Spanò, che ha condannato i due magistrati a 8 mesi per omissione d’atti d’ufficio - e che spiega anche «la marginalizzazione lamentata dal dottor (Paolo, ndr) Storari», il pm che aveva fornito ai due colleghi le prove della falsità del teste chiave - l’ex manager Eni Vincenzo Armanna -, con lo scopo, come sottolineato dallo stesso Storari nel corso del dibattimento, di non «rompere le balle a quel processo».

I due magistrati (difesi dall’avvocato Massimo Dinoia) avrebbero taciuto «deliberatamente», scrivono i giudici, «l’esistenza di risultanze investigative in palese ed oggettivo conflitto con i portati accusatori spesi in dibattimento (e nella requisitoria) a dispetto delle pressanti esortazioni ricevute da un soggetto “specificamente qualificato”», ovvero Storari, «preoccupato per il vulnus arrecato dalle condotte omissive al corretto sviluppo del processo “Eni Nigeria”».

Le prove nascoste sono diverse, come i messaggi che dimostrerebbero il pagamento di 50.000 dollari da parte di Armanna a due testimoni e, soprattutto, un video girato in maniera clandestina da Piero Amara, l’ex avvocato esterno di Eni, che testimoniava la volontà di Armanna di ricattare i vertici Eni e «fargli arrivare un avviso di garanzia». Tutti elementi ritenuti non rilevanti e addirittura potenzialmente favorevoli all’accusa dai due imputati.

Non si contesta «l’uso improprio del potere discrezionale nella scelta degli elementi probatori da spendersi nel dibattimento “Eni Nigeria” - scrivono i giudici -, rispetto a cui hanno correttamente affermato la loro piena autonomia, quanto piuttosto di aver trascurato che il pubblico ministero, a differenza di quanto avviene per le parti private che sono libere di perseguire le strategie processuali ritenute più convenienti a tutela dei propri assistiti, non può rivendicare a sé l’esclusività del giudizio sulla pertinenza e rilevanza della prova, arrogandosi una sfera illimitata di insindacabilità».

L’autonomia della magistratura, dunque, non può tradursi «in una sconfinata libertà di........

© Il Dubbio


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