Già Vassalli nell’87 definiva l’Italia un Paese «a sovranità limitata dalla magistratura»
L’attuale fase di scontro fra politica e magistratura ha un’origine ben precisa, che si cerca di occultare dietro a questioni apparentemente eccentriche, come quelle legate alla gestione dell’immigrazione, ed è rappresentata dal disegno di legge governativo sulla separazione delle carriere.
Come diceva Giuliano Vassalli nel 1987, alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, «la magistratura ha un potere enorme… lo ha sul potere legislativo… è il più grande gruppo di pressione, è il più forte gruppo di pressione che abbiamo conosciuto, almeno nelle questioni di giustizia… in quaranta anni non c’è stata una legge in materia di giustizia che non sia stata ispirata e voluta dalla magistratura, la quale è diventata sempre più un corpo veramente corporativo». In particolare, la legge di ordinamento giudiziario, la legge dei magistrati, appariva a Vassalli “intoccabile” proprio per l’opposizione dei suoi destinatari naturali. Un corto circuito costituzionale, in cui i “giudici soggetti soltanto alla legge” impongono le loro scelte al legislatore, soprattutto quando in gioco c’è lo stato giuridico della magistratura.
L’Italia, concludeva amaramente Vassalli, è un Paese a «sovranità limitata dalla magistratura, nelle questioni di giustizia».
Non ci vuole molto per comprendere quale deflagrante conflitto possa aver innescato la scelta del governo Meloni di calendarizzare nei lavori parlamentari la riforma delle riforme, quella più temuta dalla magistratura e più convintamente........
© Il Dubbio
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