Dalla tradizione giuridica romana alla crisi delle carceri italiane: la speranza non è un’astrazione morale ma una pretesa giuridica esigibile
A chi dubitasse della possibilità di ricondurre la speranza - intesa come aspirazione individuale alla verificazione di circostanze materiali e psicologiche capaci di determinare un miglioramento delle proprie condizioni di vita - alla ampia e generale categoria dei diritti soggettivi potrebbe utilmente venire in soccorso l’esperienza dei diritti dell’antichità. Ed infatti, sin dal diritto romano, la spes costituiva apprezzabile oggetto di diritti, sia in termini di semplice attesa di un evento aleatoriamente (emptio spei) preso in considerazione, sia in termini di concretizzazione di una ragionevole speranza (emptio rei speratae): distinzione sostanzialmente trapassata nell’odierno codice civile, che distingue tra vendita di cosa sperata e vendita di cosa futura.
Questa reviviscenza di istituti millenari serve qui lo scopo di munire di un solido fondamento positivo lo stato psicologico di chi nutre, appunto, una speranza. Non si tratta di vuota ed astratta aspirazione: essa partecipa dei fenomeni rilevanti per l’ordinamento giuridico, ovviamente nei limiti della meritevolezza dell’oggetto della speranza, ossia della sua compatibilità con i principi e le regole dell’ordinamento.
L’ulteriore implicazione è che, se la speranza, in quanto collegata ad una situazione........





















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