Yara, alla sbarra ora ci va Netflix: ha commesso il “reato di dubbio”
Nel meraviglioso mondo del true crime qualcosa è andato storto. Dal delitto di Avetrana alla strage di Erba, il nuovo genere “docu-serie” a puntate sui grandi casi di cronaca nera rovescia il paradigma della vecchia tv sempre a caccia del mostro. E per questo finisce alla sbarra: ha commesso il “reato di dubbio”. Quello che ora Netflix decide di infilare persino nel titolo del nuovo prodotto di punta dedicato all’omicidio Gambirasio: “Yara. Oltre ogni ragionevole dubbio”.
Cinque lunghi episodi per ricostruire, punto per punto, la tragica vicenda della 13enne di Brembate di Sopra scomparsa nel nulla una sera del novembre 2010 e ritrovata senza vita tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011. Per la giustizia il verdetto è definitivo: l’ha uccisa Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato all’ergastolo con il sigillo della Cassazione. E anche di una parte dell’opinione pubblica. Da sempre spaccata come in un derby tra “colpevolisti” e “innocentisti”. Con i secondi che qui trovano qualche nuova soddisfazione.
La serie tv diretta da Gianluca Neri, infatti, parla principalmente a loro. Tanto da far infuriare la schiera di giornalisti e opinionisti che non tollerano di riaprire un caso costato tanta fatica e dolore. Soprattutto se si tratta di ridare parola a un uomo rinchiuso in prigione con la più terribile delle accuse: aver infierito sul corpo di una bambina innocente, un «angelo» promesso alla ginnastica ritmica che muoveva tutti i suoi passi in quella manciata di metri tra casa e palestra. Il colpevole deve marcire in galera. E allora come si permette, Bossetti, di proclamarsi ancora innocente in........
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