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Essere Liana Milella, una vita per la notizia. «Io cattiva? Se potessi farei anche a botte...»

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08.06.2024

Liana Milella l’avete vista arrivare per prima nei palazzi di giustizia, al Csm, e pure alla Consulta. Ma di certo non l’avete vista sorseggiare un aperitivo ai tavolini di un bar, figuriamoci godersi una cena al ristorante. Il privilegio tocca a noi, ma solo perché si tratta di una colazione francese. Due ore rubate al rullo delle notizie. Poi si fila dritte alla scrivania per scrivere un nuovo pezzo del romanzo giudiziario consegnato a rate sulle colonne di Repubblica.

Liana Milella fa questo da trent’anni: firma la giustizia, e alla fine la giustizia è diventata il suo nome. Tutto il resto è un optional, per la giornalista con la toga sulla penna. E difatti Toghe è anche il titolo del suo blog, che poi è diventata una newsletter letta dal pianeta giuridico senza risultare indifferente alla politica. «Diciamo che mi sento osservata, ma non lo dico per me, lo dico per il clima che c’è: non sei più libero di raccontare i processi perché poi dicono che fai il portavoce delle procure».

Liana Milella è venuta con l’armatura. Non cerca il ritratto, ma ci ha concesso lo sfizio. Riluttante alle domande come chi le fa di mestiere. «Spero di non dare l’impressione di essere arrogante o prepotente, perché uno si deve pure difendere dall’aggressività». Ma nel bar francese il clima è sereno. La riforma Nordio le ha tolto un po’ di sonno. Ma ora si può tirare un respiro almeno per un cappuccino ben fatto. Non come quelle patate al microonde che Milella si ritrova per cena perché ha lavorato ben oltre il tramonto. «Una prigione», dice prima di accettare l’invito. Ma è una prigione dolce per Liana Milella il suo mestiere: niente di melenso, fare la cronaca è solo una cosa che le è venuta bene. Prima a Bari, da ragazza, con il Corriere della Sera. Poi «per la prima volta una donna è comparsa alla........

© Il Dubbio


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