Di fronte alla strage di Gaza la Corte penale è disarmata: solo la politica può agire
Verrebbe quasi voglia di dare ragione alla giudice ugandese Julia Sebutinde, che a fronte di una maggioranza compatta a favore delle misure contro Israele, ha steso una succinta ma chiara dissenting opinion con cui spiega perché non condivideva la sentenza (più esattamente l’ordinanza) del 26 gennaio: perché certe questioni, sostiene la giudice, vanno lasciate alla politica, lo scontro è politico e ad esso mal si attaglia lo schema giudiziario.
Lo scontro in questione è il giudizio intentato dal Sudafrica contro Israele per i crimini che questo sta commettendo a Gaza, dall’ 8 ottobre dell’anno scorso, il giorno successivo al tragico e dissennato raid di Hamas nei confini di Israele.
Accanto alla Sebutinde, per la verità, si è schierato anche il giudice israeliano Barak ( i due stati contendenti hanno statutariamente diritto a sedere accanto ai 15 giudici titolari nella Corte Internazionale di Giustzia – CIJ), nella risposta a 5 misure su 6: ma questi lo ha fatto evidentemente per tutt’altri motivi, vale a dire perché per lui il termine genocidio ( attivo) non è nemmeno accostabile allo stato di Israele: sarebbe “moralmente ripugnante”, “osceno”, “oltraggioso”.
La questione è arcinota: il Sudafrica accusa Israele di avere commesso e continuare a commettere un genocidio nei confronti del popolo palestinese a Gaza. Ma vale la pena confrontarsi con un po’ di attenzione con l’ordinanza nel suo complesso, pagina dopo pagina.
Prima di tutto si affronta la questione della titolarità del Sudafrica nel denunciare e chieder misure contro Israele. E fin qui la Corte si colloca in un solco ben collaudato: il genocidio è un crimine........
© Il Dubbio
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