Salve, sono una donna.

Sono tante cose: sono una madre, sono atea, sono calabrese, italiana e cittadina del mondo. Sono di sinistra, sono grecista, sono una che scrive (e legge), sono una lavoratrice, sono una capofamiglia, sono una cittadina, sono una contribuente.

Oggi, che è una giornata particolare – per molti anni una festa d’impegno, poi una festa e basta, persino troppo piena di cioccolatini e mimose finte – , vorrei elencare tutto quello che sono felice di non essere.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna di Gaza, deportata ogni giorno dentro la mia stessa terra, affamata, bombardata, ferita, uccisa. Vessata, sempre, dalle scelte criminali dei terroristi di Hamas e dalla rappresaglia senza fine per quelle scelte. Vessata, sempre, da una convivenza difficile, e perdente due volte (perché le guerre le donne le perdono sempre, persino quando la guerra è vinta, persino quando la chiamano pace).

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna iraniana, o una donna di troppi altri Paesi del mondo: di non essere costretta a portare il velo, se non lo scelgo liberamente io, di non essere costretta a subire interventi mutilanti, a dipendere giuridicamente da un maschio, a non studiare, a non lavorare, a non andare in giro da sola, a non scegliere nulla che mi riguardi.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna ucraina, che ormai da due anni vive in un paese in guerra, dove i civili continuano a morire, o comunque a non vivere, con la prospettiva di trovarsi in un altro paese, sotto un dittatore, senza nemmeno uscire di casa.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna russa, che se va a portare un fiore a una veglia funebre può essere picchiata o arrestata o tutti e due, e deve stare attenta a quello che dice, scrive o pensa.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna di una qualsiasi carovana di migranti che, proprio in questo momento, sta attraversando a piedi l’Africa, i deserti, le città, le strade, ripetutamente picchiata, violentata, rinchiusa, derubata, per conquistare un posto su un barcone e tentare di attraversare un mare pieno di donne come me che non ce l’hanno fatta ad arrivare, sbarcare, essere trattate come ladre di benessere e chiuse in qualche centro-carnaio o arrivate da qualche parte e accolte da manifestazioni in cui altre persone, d’un altro colore, dicono: andate via, non vi vogliamo.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna che ha subito molestie o violenza, e a volte deve subire ancora molte offese e umiliazioni, per avere giustizia.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna che viene picchiata, umiliata, tenuta in condizione di soggezione fisica e psicologica perché non ha gli strumenti per denunciare, o per rendersi indipendente, o perché quella violenza non viene riconosciuta e smascherata e fermata e condannata. O tutto questo non viene fatto in tempo, ops.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna stalkerata e incompresa, stalkerata e inascoltata, stalkerata e sottovalutata, stalkerata e lasciata sola. Sono molto felice, oggi, di non essere una donna uccisa dal marito, dal fidanzato, dal compagno, da un ex-tutte-queste-cose, una cifra in più di un conto che non diminuisce mai.

Sono molto felice, oggi, di non essere una lavoratrice sfruttata, magari in un campo dove comandano i caporali, magari in una fabbrica dove le misure di sicurezza sono una barzelletta, o in una cooperativa che si occupa di compiti “esternalizzati”, o in un qualunque luogo in cui i lavoratori non hanno diritti, e quindi le lavoratrici anche peggio (sempre due volte perdente). Sono felice di non essere una lavoratrice che viene licenziata se resta incinta, o che non può permettersi di fare un figlio.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna che vuole abortire e deve fare centinaia di chilometri per trovare un ospedale dove sia possibile farlo, magari con la pillola invece che con un intervento che mi farà più male, più a lungo e per un costo sanitario maggiore.

Sono molto felice, oggi, di non essere una professionista che, a parità di competenze, qualifiche, mansioni e anzianità, ha uno stipendio più basso d'un collega maschio, o non farà mai carriera oltre un certo punto.

Sono molto felice, oggi, di non essere una sindaca che chiamano sindaco, una ministra che chiamano ministro, una presidente che chiamano il presidente.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna che dice “uff, basta con ’sto femminismo, non serve più, le femministe hanno scocciato”, ignorando che senza quelle scocciatrici non avremmo un sacco di cose, in mezzo alle tante che ancora ci mancano, e tante di noi – non tutte, non dovunque, non sempre – non potrebbero essere felici di non essere un sacco di cose, oggi.

Sono proprio felice, oggi.

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Salve, sono una donna.

Sono tante cose: sono una madre, sono atea, sono calabrese, italiana e cittadina del mondo. Sono di sinistra, sono grecista, sono una che scrive (e legge), sono una lavoratrice, sono una capofamiglia, sono una cittadina, sono una contribuente.

Oggi, che è una giornata particolare – per molti anni una festa d’impegno, poi una festa e basta, persino troppo piena di cioccolatini e mimose finte – , vorrei elencare tutto quello che sono felice di non essere.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna di Gaza, deportata ogni giorno dentro la mia stessa terra, affamata, bombardata, ferita, uccisa. Vessata, sempre, dalle scelte criminali dei terroristi di Hamas e dalla rappresaglia senza fine per quelle scelte. Vessata, sempre, da una convivenza difficile, e perdente due volte (perché le guerre le donne le perdono sempre, persino quando la guerra è vinta, persino quando la chiamano pace).

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna iraniana, o una donna di troppi altri Paesi del mondo: di non essere costretta a portare il velo, se non lo scelgo liberamente io, di non essere costretta a subire interventi mutilanti, a dipendere giuridicamente da un maschio, a non studiare, a non lavorare, a non andare in giro da sola, a non scegliere nulla che mi riguardi.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna ucraina, che ormai da due anni vive in un paese in guerra, dove i civili continuano a morire, o comunque a non vivere, con la prospettiva di trovarsi in un altro paese, sotto un dittatore, senza nemmeno uscire di casa.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna russa, che se va a portare un fiore a una veglia funebre può essere picchiata o arrestata o tutti e due, e deve stare attenta a quello che dice, scrive o pensa.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna di una qualsiasi carovana di migranti che, proprio in questo momento, sta attraversando a piedi l’Africa, i deserti, le città, le strade, ripetutamente picchiata, violentata, rinchiusa, derubata, per conquistare un posto su un barcone e tentare di attraversare un mare pieno di donne come me che non ce l’hanno fatta ad arrivare, sbarcare, essere trattate come ladre di benessere e chiuse in qualche centro-carnaio o arrivate da qualche parte e accolte da manifestazioni in cui altre persone, d’un altro colore, dicono: andate via, non vi vogliamo.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna che ha subito molestie o violenza, e a volte deve subire ancora molte offese e umiliazioni, per avere giustizia.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna che viene picchiata, umiliata, tenuta in condizione di soggezione fisica e psicologica perché non ha gli strumenti per denunciare, o per rendersi indipendente, o perché quella violenza non viene riconosciuta e smascherata e fermata e condannata. O tutto questo non viene fatto in tempo, ops.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna stalkerata e incompresa, stalkerata e inascoltata, stalkerata e sottovalutata, stalkerata e lasciata sola. Sono molto felice, oggi, di non essere una donna uccisa dal marito, dal fidanzato, dal compagno, da un ex-tutte-queste-cose, una cifra in più di un conto che non diminuisce mai.

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Sono una donna, sono tante cose. Tutto quello che, oggi, sono molto felice di non essere

13 0
08.03.2024

Salve, sono una donna.

Sono tante cose: sono una madre, sono atea, sono calabrese, italiana e cittadina del mondo. Sono di sinistra, sono grecista, sono una che scrive (e legge), sono una lavoratrice, sono una capofamiglia, sono una cittadina, sono una contribuente.

Oggi, che è una giornata particolare – per molti anni una festa d’impegno, poi una festa e basta, persino troppo piena di cioccolatini e mimose finte – , vorrei elencare tutto quello che sono felice di non essere.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna di Gaza, deportata ogni giorno dentro la mia stessa terra, affamata, bombardata, ferita, uccisa. Vessata, sempre, dalle scelte criminali dei terroristi di Hamas e dalla rappresaglia senza fine per quelle scelte. Vessata, sempre, da una convivenza difficile, e perdente due volte (perché le guerre le donne le perdono sempre, persino quando la guerra è vinta, persino quando la chiamano pace).

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna iraniana, o una donna di troppi altri Paesi del mondo: di non essere costretta a portare il velo, se non lo scelgo liberamente io, di non essere costretta a subire interventi mutilanti, a dipendere giuridicamente da un maschio, a non studiare, a non lavorare, a non andare in giro da sola, a non scegliere nulla che mi riguardi.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna ucraina, che ormai da due anni vive in un paese in guerra, dove i civili continuano a morire, o comunque a non vivere, con la prospettiva di trovarsi in un altro paese, sotto un dittatore, senza nemmeno uscire di casa.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna russa, che se va a portare un fiore a una veglia funebre può essere picchiata o arrestata o tutti e due, e deve stare attenta a quello che dice, scrive o pensa.

Sono molto felice, oggi, di non essere una donna di una qualsiasi carovana di migranti che, proprio in questo momento, sta attraversando a piedi l’Africa, i deserti, le città, le strade, ripetutamente picchiata, violentata, rinchiusa, derubata, per conquistare........

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