menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

L'equivoco della disforia di genere. Medicalizzare significa semplificare

9 0
12.04.2024

Il Governo inglese, dopo due anni di inchiesta scientifica, ha appena fatto un clamoroso dietro-front sulla disforia di genere. Finora, i farmaci che bloccano la pubertà ai bambini venivano somministrati in strutture del sistema sanitario nazionale. Per esempio la celebre clinica Tavistock di Londra. Da adesso, la legge invece li vieta.

In Italia, da qualche tempo, si discute sul trattamento che viene somministrato, tra gli altri ospedali pubblici, al Careggi di Firenze. Gli ispettori del Ministero hanno appurato non poche criticità nel percorso adottato dal Careggi, tra cui l’assenza di un esaustivo percorso di analisi da parte degli psichiatri. La disforia di genere è un termine della scienza assai poco accessibile a chi scienziato non è. È curioso che, nella divulgazione, manchi un termine meno ostico. Indica il sintomo di chi si sente nel corpo sbagliato. Cioè percepisce il conflitto tra il genere sessuale e la sua natura. Direi meglio: la sua anima e il suo carattere di genere. Un uomo che si sente donna. E viceversa.

Ma qui parliamo di bambini. Perché all’ospedale di Careggi, sono i bambini che vengono trattati per la loro dichiarata disforia di genere. Cosa accade quando la disforia di genere arriva in ospedale per la mano ai genitori? A questi bambini ( 85 finora i casi trattati), viene bloccata la pubertà. Con un farmaco che si chiama triptorelina. L’idea è che si faccia il bene del bambino che si dichiara sofferente. Bloccando lo sviluppo naturale del genere sessuale, gli si consente di scegliere poi, da adulto maggiorenne, se vuole essere altro da quello che è.

A me pare una violenza assoluta. La medicalizzazione di un disagio che la psicoanalisi conosce e studia da oltre un secolo e mezzo. Disagio che pedagoghe come Francoise Dolto e Elena Gianini Belotti hanno studiato e chiarito da cinquanta anni. E mi stupisce che al Careggi e altrove ci si sia dimenticati dei dati dell’anima e della pedagogia. Anche della sociologia, aggiungo.

L’adolescente è un mutante per natura. Sta nella terra di mezzo tra l’infanzia e l’adultità. Il suo corpo gli cambia addosso e lo precipita nell’incertezza.Specialmente in questi anni in cui i nostri figli patiscono una solitudine mai sperimentata dalle generazioni precedenti. In cui il riferimento non è più la famiglia, ma il gruppo dei coetanei. Gli anni dei social, degli odiatori, dei filtri. Il disagio che........

© HuffPost


Get it on Google Play