Cellulare: pensiamolo come «droga» per ragazzini
Nel luglio scorso il Ministro dell’Istruzione ha messo al bando i telefonini nelle scuole primarie e secondarie di primo grado. Bene, ma il problema c’è ancora. Non solo perché gli istituti faticano a farsi rispettare: la presa di coscienza, infatti, deve partire dai genitori
Siamo stati gli inconsapevoli pusher dei nostri figli. Per anni il regalo della Prima comunione era sempre e solo lo smartphone. Senza capire che davamo un’arma carica nelle mani delle creature. Finalmente, meglio tardi che mai, abbiamo realizzato che non era uno «strumento». «Le forbici sono uno strumento, ma nessun bambino va a letto con le forbici sotto il cuscino per svegliarsi e tagliare la carta», afferma con forza lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai.
Nel luglio scorso il ministero dell’Istruzione ha deliberato con una circolare che nell’anno scolastico in corso i cellulari erano banditi nelle scuole primarie e secondarie di primo grado. E bisognava tornare al rimpianto diario cartaceo al posto del registro digitale, roba che mentre lo apri ti sei già perso, neanche fosse il labirinto di Cnosso. Poi è stato un crescendo rossiniano. A settembre il pedagogista Daniele Novara con Pellai ha fatto un appello al governo sullo stesso tema: no smartphone fino a 14 anni e no iscrizione ai social fino a 16, diventato una petizione su Change.org con oltre 60 mila firme, tra Paola Cortellesi, Valeria Golino, Stefano Accorsi, Luca Zingaretti. A Milano è stato stilato un manifesto digitale dopo un confronto tra università, genitori, Comune e pediatri, dove si ribadisce che «una navigazione senza limiti può essere un ostacolo a uno sviluppo equilibrato». Indietro tutta. Dopo averci per anni ripetuto quanto imprescindibile fosse la digitalizzazione scolastica, si è arrivati alla conclusione che il cellulare usato costantemente dai preadolescenti procura danni cerebrali, è causa di solitudine, depressione, isolamento, li rende dipendenti come dalla droga e incapaci di concentrarsi.
Come scrisse la psicologa Jean M. Twenge, la iGen, è la generazione più infelice e vulnerabile degli ultimi dieci anni. Spiega Novara: «L’entusiasmo che ha........
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