Il fantasma del Grande Vecchio
Ma dov’è il Grande Vecchio? E dov’è il mercato delle informazioni riservate? Li ha evocati entrambi il procuratore antimafia Giovanni Melillo nella sua audizione in Parlamento. Li ha indicati in maniera ancora più esplicita il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, adombrando un verminaio e potenze straniere dietro la fuga di notizie, salvo poi annunciare che l’inchiesta è partita tardivamente e in modo maldestro, e che le tracce per risalire ai mandanti occulti del finanziere infedele sembrano essere state cancellate.
Eppure, a ben vedere, ragionando sugli elementi a disposizione, l’idea di un Grande Vecchio dietro questa clamorosa spy story è implausibile. Perché il Vecchio è Grande se ha un disegno. Lo aveva Licio Gelli, a capo di una loggia massonica che voleva mettere sotto controllo le istituzioni e assoggettarle a un’oligarchia corporativa e occulta. Qual è il disegno di chi spia allo stesso modo Matteo Renzi e Matteo Salvini, Guido Crosetto e Vittorio Colao, Gabriele Gravina e Domenico Arcuri? Sì, a guardar bene, gli spiati del centrodestra sono in proporzione i tre quarti della lista. Ciò conferma che ci sono frange storicamente identificabili del mondo politico-editoriale e del giornalismo aduse a regolare i loro conti con i dossier. Ma i nomi di calciatori, vescovi, manager e imprenditori bastano da soli a escludere l’ipotesi di una Spectre ideologica unica, che con la gogna si proponga di mettere sotto scacco le istituzioni. Una simile organizzazione avrebbe certamente praticato una chirurgia più selettiva, affondando la sua lama nelle profondità della democrazia italiana. E probabilmente non sarebbe incespicata nei compensi, peraltro leciti, del ministro della difesa.
Questi indizi dicono sì che lo spionaggio è ideologicamente orientato, ma in realtà ha nel suo bersaglio una singolare forma di potere.
Quella che si manifesta mediaticamente ed espone i protagonisti al chiacchiericcio del dibattito pubblico. Gli 007 deviati operavano come una sorta di redazione giornalistica che, alla lettura dei quotidiani, si impegni negli approfondimenti. Ma con la metodologia tipica del giornalismo corrente, gli accessi erano a volo d’uccello. Tanto «mostruosi» per numero, come giustamente ha notato Cantone, quanto superficiali. Opera così una Spectre al servizio di poteri occulti o potenze straniere?
E se di mercato si tratta, dove stanno i pagamenti che da sempre qualificano uno scambio illecito? Non ve n’è traccia, almeno a valutare gli elementi filtrati dall’indagine. Pochi, ma non molto diversi da quelli a disposizione degli inquirenti, che – lo ha detto ancora Cantone – sul traffico di notizie riservate sarebbero arrivati male e in ritardo.
Non sappiamo se la strategia di comunicazione dei due procuratori sia stata intenzionale o involontaria. Ma l’idea di un mercato clandestino dello spionaggio e di una cupola che lo controlla rischiano di spostare l’attenzione del dibattito pubblico da ciò che davvero è accaduto. Altrettanto fa l’idea di uno o più finanzieri e magistrati infedeli o incauti, dipinti come mle marce di un paniere altrimenti sano. Mele da gettare nel cestino dell’immondizia per riesporre le mele restanti al centro del tavolo, come se nulla fosse. La sensazione è che la preoccupazione dei due magistrati auditi in Parlamento fosse essenzialmente politica. E avesse il comprensibile obiettivo di difendere il sistema di cui fanno parte o comunque attorno a cui gravitano, cioè quell’infrastruttura giudiziaria, investigativa, burocratica e politica che chiamiamo da quarant’anni Antimafia e che ha assunto nella democrazia italiana compiti crescenti. Perché, se c’è un Grande Vecchio che aleggia attorno a noi, e se pure non possiamo sapere chi sia, sarà bene tenere in piedi una macchina che il Grande Vecchio lo insegue da anni nell’intestino della democrazia.
Ma i tasselli di quest’indagine raccontano tutta un’altra storia. A cominciare da quelli più propriamente investigativi. Lo spionaggio illecito riguarda anzitutto gli accessi........
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