Così la connessione perenne in rete influenza le nostre capacità di concentrazione
Iperconnessione, iperstimolazione, multitasking: in un mondo sovraccarico di stimoli l'attenzione è una risorsa sempre più contesa e preziosa. Gli studi neurologici, i rischi e le opportunità
Oggi più che mai l’attenzione è diventata una merce, forse persino una delle più richieste, tanto che sono in molti quelli che cercano di catturare quella altrui più spesso e più a lungo possibile. E se si considera l’attenzione come un filtro in grado di dirigere le nostre energie, sia che si tratti di pensieri o di denaro, si capisce quanto sia importante mantenerlo in funzione, così da riuscire a selezionare le informazioni rilevanti a scapito di quelle inutili o dannose. In pratica, qualcosa che oggigiorno appare come una fatica erculea considerando la quantità di canali televisivi, di notizie in circolazione, di contenuti presenti sulle piattaforme social e in quelle di intrattenimento. Per non parlare delle fantasticherie che questi contenuti generano: come essere più affascinanti, più ricchi, più esploratori… In sostanza tutti pensieri altrettanto distraenti. Ma andiamo avanti.
Di primo acchito definire il concetto di attenzione non parrebbe difficile, in effetti William James – grande pensatore e padre della psicologia moderna, nonché fratello di Henry, l’autore del romanzo “Ritratto di signora” – scrisse nel solenne saggio “Principi di psicologia” (1890): “Tutti sanno cos’è l’attenzione. È la presa di possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno tra quelli che sembrano diversi oggetti o correnti di pensiero simultaneamente possibili”. Ecco qua, quando si dice la chiarezza. Effettivamente a oggi l’attenzione viene generalmente definita come la funzione attraverso la quale è possibile regolare l’attività dei processi cognitivi, in modo da vagliare e organizzare le informazioni. Il suo impiego però è talmente diffuso a livello cerebrale che è difficile considerarla un costrutto unitario, quanto piuttosto una proprietà che interessa molteplici meccanismi percettivi, cioè qualcosa che entra in gioco, ad esempio, tanto nel ragionamento quanto nella sensibilità tattile, nella vista o nella memoria.
Sapere dirigere la propria attenzione senza che questa venga portata a spasso a piacimento altrui significa avere il controllo di ciò che si sta facendo, di ciò che si sta pensando e probabilmente anche degli obiettivi che ci si pone. Soprattutto considerando che a seconda di ciò su cui ci si focalizza si aprono alla mente contenuti corrispondenti, sia che si tratti di ricordi, immagini o emozioni. In quest’ottica Daniel Siegel – psichiatra e neuroscienziato alla School of Medicine della University of California – afferma che “il potere di dirigere la nostra attenzione ha in sé il potere di modellare gli schemi di accensione del nostro cervello, così come il potere di modellare l’architettura del cervello stesso”. Mica poco insomma; abbastanza però da farci sentire colpevoli per le troppe ore trascorse sul divano a guardare delle serie di cui ci si dimentica molto in fretta.
Parlando di iperstimolazione proveniente dagli schermi è bene introdurre alcuni differenti........© Il Foglio
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