Un anno fa il primo scudetto dopo 33 anni. Ma Napoli non raddoppia
Dallo scudetto alla débâcle. Squadra e città si corrispondono, ondeggianti fra ottimismo illuminista e nevrosi passionale
“Era di maggio, quello di un anno fa, e se i colori avessero un odore Napoli profumò d’azzurro per la vittoria del terzo scudetto dopo trentatré stagioni. Non serviva la Sibilla Cumana inquietata dal bradisismo per profetizzare che il successo sarebbe stato incerto nel seguente campionato. E chissà se addirittura non sia stato meglio così. È un paradosso che sosteneva Erri De Luca ricordando il Napoli di Maradona: “È il trionfo breve a restare perfetto nella memoria, non le dozzine di scudetti, ma il paio”. Mentre domenica 26 maggio la squadra consumava il conclusivo mediocre zero a zero in casa contro il Lecce, Paolo Sorrentino postava su Instagram da Cannes, dove il suo film Parthenope non ha conquistato il podio del Festival, la foto dal sapore felliniano di un “uomo in smoking il giorno dopo una première” addormentato sulla spiaggia, con una citazione di Robert Louis Stevenson per didascalia: “Il nostro compito nel mondo non è avere successo ma fallire nelle migliori condizioni di spirito possibile”.
Calcio e cinema si specchiano l’uno nell’altro nella città dove i trionfi della squadra sono stati intitolati alle pellicole di Massimo Troisi, da Scusate il ritardo a Ricomincio da tre, e dove proprietario del club è la Filmauro, con un presidente che per temperamento non approverebbe la massima di De Luca ma aveva pure avvertito quanto sarebbe stato arduo replicare un campionato eccezionale. Nessuno tuttavia, né Aurelio De Laurentiis né la Sibilla Cumana, né il tifoso Sorrentino né un redivivo Troisi si sarebbe aspettato la débâcle del decimo posto in classifica, che ha estromesso dopo quattordici anni il Napoli da ogni competizione europea. Per citare dal penultimo film del regista vomerese, È stata la mano di Dio, “la realtà è scadente” e chi al mattino esce di casa s’aspetta proprio dal cinema e dal calcio che gliela migliorino, pur senza l’illusione di cambiarla: “Uno strozzino, anche se lo tramortite parlandogli di Jeppson, e vi dà cinquemila lire, dopo un mese ne vuole settemilacinquecento”, scrisse Giuseppe Marotta all’epoca del mirabolante acquisto dell’attaccante svedese con cui il comandante Achille Lauro regalò ai tifosi azzurri il permesso di sognare in grande nel 1952 (e sogno restò).
Anche Sorrentino non ha conquistato il podio di Cannes con “Parthenope”. Calcio e cinema si specchiano l’uno nell’altro
Per un’ineluttabile corrispondenza tra il calcio e la città, all’incubo sportivo s’è sovrapposto, nelle ultime settimane, quello unanime del bradisismo che ha smosso con più violenza il suolo seminando paura nei quartieri dell’area flegrea. Il diagramma emotivo non è contemplato dalle planimetrie dei sismologi e degli urbanisti, sicché la sua alterazione ha spinto il sindaco Gaetano Manfredi a esibire l’aplomb dell’ingegnere invitando alla calma: “Sono un illuminista”, dice, “ho fede nella ragione”, anche se una scossa di magnitudo 4.4 Richter avrebbe indotto pure Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri a guadagnare di corsa le scale e a pernottare lontano dai cornicioni (tutt’al più, si sarebbero portati in strada un libro e una candela). Ma il richiamo del sindaco non riguarda solo questioni telluriche: Manfredi è infastidito dai napoletani “chiassosi” che “quasi per dovere” indossano la casacca “di un folclore scontato ma........
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