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Le luci di Partenope

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20.05.2024

La nuova vita della mitica sirena: dal suo corpo prese forma Napoli. Chi la celebra oggi, da Sorrentino al rap

Preso di noia nelle dissolute giornate capresi, Tiberio imperatore chiedeva ai grammatici cosa fossero solite cantare le sirene. Nell’impossibilità di una risposta, qualcuno come Kafka ha persino azzardato che la loro voce consistesse nel silenzio. Crudeli, seduttive e misteriose, più l’esistenza ne è stata consegnata al mito più sono state raffigurate, descritte e nominate. Ce n’è una sola però che si è calata dalla mitologia alla storia collettiva e c’è rimasta, da predatrice a catturata, vergine insidiosa ma prolifica madre, ammansita incantatrice però non dimentica dell’arcaica matrice ferina. È Partenope la nera, che secondo la leggenda arrivò morta sulle sponde della città cui diede nome e forma, perché Napoli si sarebbe modellata sul calco del suo corpo spiaggiato, da Posillipo alle prime alture dell’obliqua topografia urbana.

Partenope è un ossimoro: vergine incinta, morta immortale, di origine pagana ma talora camuffata pure sotto le spoglie di una santa cristiana


Quest’inoltrata primavera esibisce un nuovo certificato di vitalità nella Storia per la sirena morta nella mitologia. E’ il film di Paolo Sorrentino, Parthenope, in concorso per la Palma d’Oro a Cannes con proiezione in anteprima la sera di martedì 21 maggio: la sirena, in quest’ultima incarnazione, è una donna nata nel 1950 e il film ne racconta la vita, come racconto di una vita femminile è stata la tetralogia letteraria di Elena Ferrante e prima ancora fu, a fine ‘800, la leggenda di Parthenope narrata da Matilde Serao, che ne fece una nobile fanciulla fuggita per coronare l’amore dalla Grecia alle coste della futura Napoli, dove divenne madre di dodici figli. “Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni”, scriveva la Serao mentre in tanti – sulla base di contrastanti fonti storiche – s’affannavano e s’affannano a localizzarne l’ipotetica tomba. Chi sotto la chiesa di San Giovanni Maggiore, chi sotto quella di Sant’Aniello a Caponapoli, indiziate da labili frammenti letterari, iscrizioni marmoree e complicate deduzioni filologiche.


Partenope è un ossimoro: vergine incinta, morta immortale, di origine pagana ma talora camuffata pure sotto le spoglie di una santa cristiana dai tratti quasi leggendari come Patrizia, discendente da una stirpe regale dell’oriente mediterraneo e morta in terra napoletana dove assurse a compatrona con san Gennaro e ha dato nome a moltissimi battezzati. Per devozione, Napoli è rigogliosa da secoli di Patrizi e Patrizie. I figli della sirena hanno bisogno del costante rinnovamento di un prodigio per ribadirlo nella Storia: la santa ci è riuscita come o meglio del più noto Gennaro, perché il suo presunto sangue continua a sciogliersi dentro l’ampolla ogni martedì mattina nella chiesa di San Gregorio Armeno al cospetto dei fedeli. E’ il segno che lei c’è anche per chi non crede e tuttavia condivide la stessa identità culturale.


Nelle fattezze della sirena originaria, Partenope rinnova la presenza senza miracoli, ma grazie a una ripetuta narrazione artistica diventata quasi seriale negli ultimi anni.
Cinema,........

© Il Foglio


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