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Dal paese a Napoli, tutta un'altra vita

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08.07.2024

Era una cosa enorme, potente e sul mare. Napoli bisognava dirlo con la A larga, larghissima, e in quella A ci entrava tutto il golfo. Luzzano invece, mille abitanti in mezzo alle montagne, pareva un cimitero di vivi

Luoghi che ci hanno cambiato la vita. Luoghi che ci possono cambiare la vita. Luoghi che ci cambieranno la vita. Inizia la nuova serie estiva del Foglio.

Napoli. Napoli la conoscevo solo perché c’erano i dottori buoni. Non si facevano gite di piacere, a Napoli, solo visite mediche. Era troppo lontana e non si trovava mai parcheggio. Era la grande città più vicina e siccome non ci andavamo mai pareva ancora più grande.


Zia Rosetta abitava al Vomero, il quartiere collinare. Il Vomero lo pronunciavano a bocca piena, da noi a Luzzano. Con un accento di prelibatezza e aristocrazia, ’o Vommero, così mi immaginavo questo pezzo di Napoli ancora più importante, altissimo, che svettava sopra tutti gli altri quartieri e faceva ombra, specialmente ai quartieri poveri, che nella mia testa erano molto poveri e perciò per forza erano più tristi. Al Vomero invece vivevano le persone notabili, anche i parenti miei. Napoli era una cosa enorme, potente e sul mare. Napoli bisognava dirlo con la A larga, larghissima. In quella A ci entrava tutto il golfo. Sfidava il vulcano e sfidava tutto il mondo, anche grazie a Maradona.


La difendevano due castelli, il castel dell’Ovo e il Maschio Angioino. Che le poteva succedere? Niente. Napoli era una città resistente a tutte le calamità, sfidava gli eventi. Napoli aveva cacciato i tedeschi prima di tutti, se ne era liberata in mezza settimana. Gli alleati la trovarono già pulita, il popolo aveva fatto da solo. Adesso c’è anche una piazza intitolata, si chiama piazza Quattro Giornate. C’è un nome più bello di piazza Quattro Giornate?

Al mio paese invece non succedeva mai niente, le quattro giornate erano 365 tutte uguali. Era fatto di scarrupizi, muri rotti ammalati e nudi. Come tutta l’Italia di provincia da Roma a scendere fino alla Sicilia, negli anni 80 l’intonaco esterno era considerato lusso di alta architettura, una spesa inutile.

Pareva un cimitero di vivi, ma pure i vivi non è che avessero tutta questa voglia di campare. Luzzano, mille abitanti in mezzo alle montagne, guardavi l’orizzonte e c’era solo un’altra montagna. Verde, verde, altro verde.


Ricordi d’infanzia entusiasta solo uno, quel che avevi da attendere e desiderare da piccolo, accadeva intorno al 20 agosto, era la festa del santo. Lì potevi trasformarti in un bambino molto felice perché c’erano le giostre, le bancarelle, le allumate ed era pieno di gente dappertutto. Tanti forestieri. La festa del santo era quando il paese ti sembrava un posto importante, dove tutti volevano stare, durava quattro giorni, dal mercoledì al gran finale del sabato sera, processione in onore di Sant’Antonio con fuochi d’artificio. La domenica successiva, finita la festa, si scatenava immancabile il primo e più funesto temporale della stagione. La pioggia d’estate quando l’estate inizia a scricchiolare e chiama settembre.


Quel temporale era accompagnato da una nenia che sapevo a memoria, la frase “prim’acqua aust’, è vierno”. La prima acqua d’agosto, vuol dire che è inverno. Di solito la sentivo da Lucia, la nostra vicina di casa. La ripetevano tutti, per tutto il giorno, in paese. Dal salumiere, dal fruttivendolo, dal tabaccaio che mi vendeva le figurine e mi dava il resto in caramelle gommose. Pioveva e smontavano le luminarie, pioveva e se ne andavano le bancarelle, pioveva e i parenti rimettevano le valigie sulle macchine per scappare via.


La prima acqua d’agosto, è inverno. Ricordati che devi morire. La stessa cosa.


Non so dire la tristezza che si portava appresso quella........

© Il Foglio


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