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Così il volontariato è diventato liquido

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01.07.2024

In sei anni l’Italia ha perso per strada 900 mila volontari. Ma la crisi riguarda soprattutto le organizzazioni più strutturate, quelle piccole tengono, quelle micro aumentano. I giovani vogliono ancora impegnarsi, ma a modo loro

L’ultima botta l’ha data l’Istat poco tempo fa, con l’aggiornamento del Censimento permanente delle Istituzioni non profit. Che ha confermato il trend anticipato l’estate scorsa: in sei anni, l’Italia ha perso per strada 900 mila volontari. Erano 5 milioni 520 mila nel 2015, sono scesi a 4 milioni e 616 mila a fine 2021. Il 16 per cento in meno, abbondante. Un’emorragia. E se qualche esperto invita a prendere il dato con le molle, perché quelle “di prima” erano stime eccessive e tante associazioni hanno iniziato a contarsi sul serio solo dopo la riforma e l’introduzione del Runts (il Registro unico per gli enti del terzo settore), nessuno nega che la tendenza ci sia, sia marcata e sia in atto da tempo. Da prima del Covid, che pure la sua zavorra l’ha aggiunta.

Il picco era arrivato nel 2016, quando a impegnarsi gratis nel non profit era il 10,7 per cento della popolazione. Poi si è invertita la marcia. “Mentre continua a crescere il numero di enti e di dipendenti (arrivati rispettivamente a quota 363 mila e 870 mila), i volontari diminuiscono”, ricordava tempo fa su Avvenire Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore. Non sarà crisi nera, insomma, ma un segnale di stanchezza sì. Da affiancare a un altro: il calo riguarda soprattutto i “grandi”, le organizzazioni più strutturate (l’80,5 per cento di quelle con almeno 30 volontari, misura l’Istituto di ricerca). Quelle piccole tengono, quelle micro aumentano. Segno che molte persone continuano a fare del bene – o vorrebbero farlo – ma in maniera più spontanea, meno propensa a inquadrarsi in turni, continuità, impegni fissi. Insomma, in una forma che da un po’ di tempo è diventata popolare tra gli addetti ai lavori: il volontariato liquido.

Tra chi si occupa di questo mondo, è un tema ricorrente: riempie incontri, convegni, ricerche. Una delle più citate riguarda la Toscana, terra di volontariato da sempre. L’ha realizzata Andrea Salvini, sociologo dell’Università di Pisa, si intitola La differenza dei potenziali e analizza a fondo la propensione dei toscani al volontariato. A fronte del calo di chi lo fa in Ets e affini (da 344 mila a 258 mila volontari tra il 2019 e il 2021), c’è non solo una quota di 145 mila toscani che si dà da fare fuori da realtà organizzate, ma una fetta cospicua di popolazione (510 mila persone) che si dice disponibile a dare una mano gratis, a patto, però, di avere flessibilità sui tempi (30,8 per cento), innovazione nelle associazioni (19,3 per cento), valorizzazione delle proprie competenze (19,1 per cento). “Il volontariato in organizzazione” oggi è “solo una modalità tra le molte possibili, di realizzazione identitaria e personale”, si leggeva nella presentazione della ricerca: “Le statistiche cominciano a raccontare dell’esistenza di un fenomeno diverso, più confacente alle sensibilità attuali: quello chiamato ‘personale’ o ‘fai da te’, e comunque non svolto in organizzazioni”. Oppure, se preferite, “individuale, episodico, temporaneo, discontinuo”, in cui “prevale l’iniziativa personale”, come scrive il sociologo Paolo Tomasin in Giovani e comunità locali, rivista di........

© Il Foglio


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