La potenza economica e culturale che fa le rivoluzioni dall’alto verso il basso
La Germania, considerata il centro culturale dell'Europa, ha storicamente avuto un rapporto complesso con la politica: a grande ricchezza culturale si affiancava grande instabilità politica. Il libro di Heinrich August Winkler "I tedeschi e la rivoluzione" esplora questa ambivalenza
Sembra proprio che la Germania abbia con la politica un rapporto oscuro e ambivalente. Benché sia diventata nazione molto tardi, la Germania, geopoliticamente al centro dell’Europa, ha dato alla modernità culturale dell’Occidente un contributo fondamentale. Da Gutenberg e Lutero alla musica di Bach e all’assolutismo illuminato di Federico di Prussia, e poi con Goethe e Schiller, romanticismo poetico e musicale, idealismo filosofico, statalismo di Hegel e materialismo rivoluzionario di Marx, per non parlare dell’eccezionale enciclopedismo positivistico, e nel Novecento con la fioritura culturale dell’universalismo ebraico, critici letterari come Benjamin e Auerbach e sociofilosofi come i Francofortesi. Dunque Germania come grande alta cultura da un lato e dall’altro politica scarsa, rigida e goffa, o sciaguratamente autodistruttiva.
A spiegare soprattutto quest’ultima arriva ora il libro dello storico Heinrich August Winkler I tedeschi e la rivoluzione (Donzelli, pp. 151, euro 25) a cura e con un saggio introduttivo di Angelo Bolaffi, che sottolinea il problema attuale di una Germania che nonostante la sua centralità e il suo problematico protagonismo nell’Europa dopo il 1945, arriva impreparata nel grande disordine globale di questi anni e del prossimo futuro. La ricchezza e complessità del libro sono tali che sarà già molto se riuscirò a darne........© Il Foglio
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