Occhio al lavoro. Se non si cambia modello, saremo tutti sfruttati come Satnam Singh
La drammatica vicenda di Satnam Singh, bracciante dell’agro pontino morto a causa di un incidente provocato anche dalle spaventose condizioni in cui si trovava ad operare, ha riacceso la luce sul lato più oscuro del nostro mondo del lavoro – e quindi della nostra società. Nel descrivere e raccontare quello che è successo alcuni si sono rivolti al passato proponendo paragoni con lo schiavismo settecentesco, mentre altri si sono focalizzati sul presente denunciando che le condizioni di Singh non sono oggi un’eccezione ma una spaventosa normalità per migliaia di persone. E hanno fatto benissimo. Ma forse c’è un pezzo che manca: quello che ci dice questa storia del nostro possibile futuro.
Il dibattito attorno al lavoro, infatti, mi pare sia oggi ostaggio di due grandi filoni; direi due narrazioni che si nutrono spesso di esempi e scenari estremi anche se veritieri o realistici. Da una parte c’è il filone che insiste molto su come le condizioni di lavoro per molti sono rimaste le stesse se non sono addirittura peggiorate negli ultimi anni, partendo dai salari per arrivare alla sicurezza. Dall’altra c’è il dibattito che fa perno attorno alla competitività del mercato globale e all’impatto tecnologico, occupandosi con insistenza di smart-working e di innovazione. Quello che ne esce è uno scenario a forti tinte di chiaroscuro, in cui le numerose variazioni di grigio nel mezzo vanno perdute.
Certo, nel nostro Paese esistono non poche situazioni in cui lo sfruttamento, l’illegalità e financo la criminalità organizzata la fanno da padroni; ma la maggioranza delle persone lavora in imprese e organizzazioni che quanto meno cercano di restare in regola con la normativa per la sicurezza e di onorare gli impegni con i propri collaboratori. Certo, in Italia ci sono aziende che riescono a stare al passo coi tempi, a pianificare e a fare innovazione, introducendo flessibilità e sensibilità ai bisogni dei dipendenti sul posto di lavoro; ma i più si trovano a lavorare in imprese che si barcamenano nel giorno dopo giorno, cercando di non rimanere troppo indietro nel proprio mercato storico e di riferimento.
È in questa vasta gamma di grigi che va dall’appena legale al performante ma non eccellente che spende la maggior parte del proprio tempo la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani. E questo, tutto sommato, è un bene, perché è qui che si è formata quella classe media che ha consentito la crescita economica e sociale di cui oggi godiamo i frutti. Ma ora qualcosa sta cambiando. Il mercato del lavoro si sta sempre più polarizzando, e nel futuro potrebbe assumere contorni persino parossistici, fino a portarci in un mondo in cui la maggioranza dei lavoratori somiglierà più a Satnam Singh che a qualche ben pagato impiegato di ufficio alle prese con device digitali. E questo per via di tre grandi forze.
La prima è l’economia. Per quanto strano o persino fastidioso possa sembrare affermarlo, viviamo in un’era relativamente prospera, pacifica e in grado di produrre enormi ricchezze. Il problema è che queste ricchezze tendono a concentrarsi; ad accumularsi nelle mani di chi ne possiede, e ad alimentare meccanismi di redistribuzione oramai arrugginiti e vetusti, per non dire disfunzionali. Si guardi a quanti miliardi sono stati investiti negli anni per risolvere la “questione meridionale”, oppure più di recente agli enormi programmi di investimento europei e statali, dal Next generation EU al Superbonus: i soldi non mancano, eppure le disuguaglianze non diminuiscono, anzi.
Il che, attenzione, non vuol dire che si stia peggio di una volta. Ognuno dei nostri bisnonni probabilmente impallidirebbe nel vedere il livello di agiatezza e comfort che oggi spesso abbiamo. Ma il fatto è che il denaro difficilmente si distribuisce equamente, e il sistema socio-economico che ci ha permesso di produrre questa ricchezza ha dei difetti congeniti per cui tende a svalutare compiti e lavori che sono essenziali alla società, pagandoli e onorandoli assai meno di quanto ci “servono”, mentre invece tende a premiare certe altre figure che invece, non di rado, privilegiano la competizione e il tornaconto personale.
La seconda grande forza è la tecnologia, l’automazione. Che già da decenni ha un impatto nel sostituire i lavoratori, ma noi abbiamo........
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