Prima i sex worker e i transgender
La difesa dei diritti genera ragionamenti mostruosi. Ricordate quelli scombiccherati di Amnesty International sulla prostituzione come diritto umano? Secondo l’organizzazione vietare o addirittura criminalizzare il “sex work” (ora si chiama così) «viola i diritti umani di chi vende prestazioni sessuali» e aumenta di conseguenza «l’oppressione, la discriminazione, la marginalizzazione e la violenza» nei loro confronti. In pratica non sarebbe la prostituzione a degradare gli esseri umani, ma la criminalizzazione della stessa ad alimentare i pregiudizi di chi la equipara al traffico sessuale e la cultura dell’impunità.
E dove poteva portare l’esaltazione della libertà di fare un “lavoro” assolutamente in linea con la difesa dei principi «dell’uguaglianza di genere e della non-discriminazione» (sic)? Ma ovviamente a trovare cittadinanza sotto l’ombrellone Lgbtq , dove quella dei “sex worker” è diventata una vera e propria branca dell’attivismo per la giustizia sociale. Di più, una difesa inespugnabile degli affaracci loro.
No alla legge antiprostituzione minorile, «criminalizza gay e transgender»
Accade in California, dove la brava Julie Bindel (qui riproposta dal FeministPost) racconta la storia di un disegno di legge, quello presentato ad aprile dal senatore repubblicano Shannon Grove, «che avrebbe reso reato penale l’adescamento di un minore per scopi sessuali, o l’accordo in qualsiasi forma per comprare sesso da un bambino, con conseguente pena detentiva in carcere e iscrizione nel registro dei criminali sessuali recidivi». Secondo Grove «il crimine di acquistare un bambino, di qualsiasi età, per fare sesso, nello stato della California dovrebbe essere un reato che comporta una pena detentiva». “Dovrebbe”: non per gli attivisti Lgbtq che si sono opposti al dl rivolgendosi al Comitato per la sicurezza pubblica e proponendo emendamenti.
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