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No: Kamala Harris non ha la vittoria in tasca

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11.08.2024

La partita elettorale in vista di novembre è aperta, ma l'ottimismo che al momento circonda la candidatura della vicepresidente è in gran parte panna montata

La vulgata a reti unificate è ormai chiara: non fanno che ripetervi che Kamala Harris avrebbe già la vittoria in tasca e che ormai per Donald Trump sarebbe finita. I commenti positivi sono tutti per la vicepresidente, che viene puntualmente presentata come una candidata abile, brillante e astuta, capace – nel giro di appena tre settimane – di rimontare sul candidato repubblicano. D’altronde, questa vulgata pretende di basarsi sui dati di fatto: è vero che vari sondaggi danno la Harris avanti a Trump, come è altrettanto vero che, nell'arco di pochi giorni, la diretta interessata è riuscita a rastrellare oltre 300 milioni di dollari in fondi elettorali. Eppure questi indubbi dati di fatto dovrebbero essere innanzitutto contestualizzati e, in secondo luogo, considerati nel medio termine: fotografare un’istantanea infatti serve a poco. Eh sì, perché, se la corsa per la Casa Bianca resta sicuramente aperta, forse pecca di ottimismo esagerato chi considera la Harris già vincente.

Cominciamo col ricordare che la raccolta fondi non è un indice in sé stesso affidabile per prevedere la vittoria di un candidato presidenziale. Nel 2016, Trump si aggiudicò le elezioni raccogliendo 600 milioni di dollari: esattamente la metà degli 1,2 miliardi rastrellati da Hillary Clinton. In secondo luogo, i sondaggi – in questa fase – vanno presi con le pinze. Primo: la campagna della Harris è partita da neanche un mese. Ci troviamo quindi in un momento di volatilità per quanto riguarda il consenso elettorale dall’una e dall’altra parte. Bisognerebbe attendere che “la polvere si posi”: in tal senso, per fare un ragionamento maggiormente a bocce ferme, sarebbe forse il caso di aspettare (almeno) la metà di settembre. Un altro aspetto da considerare è che la cosiddetta “luna di miele” di cui la Harris sta godendo è (anche) favorita da un atteggiamento benevolo della grande stampa americana: quella stessa grande stampa che, almeno per ora, non le sta chiedendo conto né dei suoi voltafaccia politici (come quello sul fracking) né del fatto che continui a sottrarsi ai giornalisti (durante i primi 18 giorni di campagna non ha rilasciato interviste o tenuto conferenze stampa).

Un ulteriore elemento da sottolineare........

© Panorama


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