La mente che vince
Quanta forza mentale è servita a Gianmarco Tamberi per vincere le Olimpiadi di Tokyo del 2020 dopo un infortunio terribile? Quanta concentrazione, alla ginnasta statunitense Simone Biles, per tornare ad aggiudicarsi praticamente tutto dopo una sosta di più di due anni dovuta a un problema mentale? Quanta a Cristiano Ronaldo, agli Europei 2024, per tirare un rigore (e segnare) solo pochi muniti dopo averne sbagliato uno che poteva essere decisivo?
Mens sana in corpore sano: è noto da sempre il legame tra corpo e cervello, tra controllo del movimento e del pensiero. Ora, nel giro degli sport che contano e soprattutto alla vigilia di prove come le Olimpiadi, il ruolo degli allenatori della mente è diventato fondamentale, tanto quanto quello di chi si occupa del fisico e dei muscoli. «Le componenti di una prestazione sono tre: abilità fisiche, mentali, e tecnico/tattiche» spiega Roberto Cadonati, psicoterapeuta e mental coach. «La performance è il prodotto di questa moltiplicazione. Se una delle tre componenti è nulla, azzera anche le altre. Quindi, si può essere all’apice della forma fisica e avere il massimo dell’intelligenza tattica, ma se il cervello non è focalizzato, quel giorno si perde».
Ha quindi ragione chi colpevolizza gli atleti (già successo con Matteo Berrettini, ora anche con Jannik Sinner) se portano le compagne ai tornei importanti, facendosi distrarre prima o durante un incontro, oppure la mente è capace di isolarsi e ignorare ormoni e sentimenti? «Le partner contano relativamente» afferma Cadonati. «Anzi, sul lungo periodo una relazione appagante tende a stabilizzare emotivamente gli atleti, quindi a farli migliorare. Il fatto è che quando si........
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