Lockdown e cellulari hanno spento il cervello dei ragazzi
C’è il suicidio del 15enne di Senigallia, ma poi ci sono le aggressioni a scuola o le baby gang fuori controllo. «Abbiamo lasciato da sola una generazione con la tecnologia, privandola di figure e valori di riferimento reali» dice il neuropsichiatra Maurizio Pincherle. «Così il disagio dilaga»
Sta seduto, quasi avvolto, nella poltrona del nonno. L’avo è stato il pioniere della pediatria, a Bologna lo cacciarono i fascisti perché ebreo; ma poi neanche i comunisti lo hanno voluto. «Beh, forse la scienza fa paura... Quando io mi iscrissi a Medicina e volevo fare come lui, il pediatra al Sant’Orsola, mi dissero: un altro Maurizio Pincherle? No. La ragione? Toglievo il posto ai fascisti che si erano subito riconvertiti in comunisti. Dopo tanto tempo sono riuscito a ottenere che dedichino al primo Maurizio Pincherle, il senior, un busto in uno dei viali del Policlinico. Da quel pregiudizio anti-ebraico un vantaggio lo ho avuto: sono diventato neuropsichiatra infantile». Pincherle, diremo: «junior» che ha conosciuto in vita sua almeno cinque premi Nobel, persone di famiglia. Lo specialista oggi 69 anni, è stato il primo a dare l’allarme sui pericoli del lockdown. «Sapevo che quell’isolamento avrebbe prodotto un disastro sugli adolescenti, avrebbe amplificato il loro solipsismo e li avrebbe resi del tutto dipendenti dal cellulare, dal computer, da quella virtualità che è all’origine di un disagio giovanile preoccupante e di cui ci si occupa poco. Quando vince la cronaca tutti a chiedersi: com’è possibile? Poi silenzio, un silenzio assurdo».
Professore, il disagio psichico giovanile è un effetto collaterale della «reclusione» anti-Covid?
Sì, ma con l’obbligo di andare molto più indietro nel tempo. L’inizio di questo fenomeno terribile data tra il 2012 e il 2013, non averlo circoscritto e contrastato, nonostante che noi neuropsichiatri infantili e molti psicologi che lavorano nelle scuole avessimo dato l’allarme, è stato colpevole. Quando poi siamo arrivati a chiudere i ragazzi in casa per isolarli dal virus, li abbiamo consegnati alla solitudine che è la prima causa del loro terribile malessere. Viviamo tutti........
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