“Amici miei” preso sul serio

Il 6 dicembre scorso, alla presenza di personalità politiche e di molti protagonisti del cinema italiano, la Camera ha omaggiato Ugo Tognazzi e i 50 anni di Amici miei, commedia cult uscita nel 1975.

L’idea del film fu di Piero Germi, a scriverlo furono invece tre penne rodate e corrosive: Tullio Pinelli, Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi. Chi girò i primi due episodi, infine, fu Mario Monicelli, erede di Germi, che con grande rispetto volle che nei titoli di testa comparisse la scritta «un film di Pietro Germi».

All’uscita della pellicola la critica si mostrò particolarmente tiepida, ma ben presto la potenza del passaparola trasformò Amici miei nel film più visto della stagione ’75-’76: più di sette miliardi di incassi al botteghino, lasciando indietro sia Lo squalo di Spielberg sia il Jack Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Amici miei ebbe anche un altro “primato”: sdoganò il dialetto toscano, allora quasi mai impiegato sul grande schermo. Roberto Benigni, il “malincomico” Francesco Nuti, il suo epigono Pieraccioni: da allora diventerà prassi far ridere “in toscano”.

“Amici miei” e la Gen Z

Se Amici miei può dirsi forse un’opera moderna, senz’altro non può dirsi contemporanea. Lo ha spiegato bene sul Foglio Andrea Munez, scrittore e docente di Storia del cinema alla Sapienza:

«Poco tempo fa mostrai Amici miei in classe a degli studenti universitari (quasi nessuno l’aveva visto): “È triste”, “non fa ridere”, “maschi bianchi che sessualizzano la donna”, oppure “giustifica la violenza” (per via degli schiaffoni in stazione). Insomma, il solito repertorio della Generazione Z. […]........

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