Trump non è un’anomalia del sistema
Più si studiano i dati della schiacciante vittoria di Donald Trump, più emerge chiaramente un fatto: non era un’anomalia del sistema. Non era un’influenza che si poteva curare, come ha cercato goffamente di fare il partito democratico, con massicce dosi di establishment e ripetizione a oltranza di terapie che avevano già portato a una rovinosa (ed evidentemente non compresa) sconfitta elettorale nel 2016. Trump è una forza stabile che ha cambiato l’America. Con tutti i limiti, le brutture, le incoerenze e le nefandezze che il personaggio contiene, certo.
Ma i numeri che stanno emergendo raccontano di un’ampia e composita coalizione elettorale che lo ha sostenuto, un mosaico di minoranze, generi, età, estrazione sociale e reddito che non si può spiegare con la vecchia e spaventosa favola del risentimento razzista dei “forgotten men” bianchi.
Perché Trump ha parlato di un “movimento”
Nella composizione che ha portato Trump di nuovo a essere eletto presidente emerge quello che i politologi chiamano un riallineamento, e le caratteristiche specifiche di questo elettorato composito non appaiono ben definite se le si valuta con i criteri della politica di ieri. Per questo il rieletto presidente parla di un “movimento” – e solo in subordine di un partito – cioè un popolo con caratteri magmatici e in divenire, non una struttura con ordini di scuderia e gerarchie.
Secondo i dati preliminari analizzati dalla Associated Press, Trump nel giro di quattro anni ha raddoppiato il........
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