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Tutti in Terra Santa attendono il ritorno a casa

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30.01.2025

La parola “ritorno” moltiplica il dolore e carica di molteplici significati, inevitabilmente opposti, quindici mesi di attesa e di guerra. Di decine di migliaia di morti. Non c’è più la grande tavola che è stata allestita in piazza degli ostaggi, a Tel Aviv, proprio di fronte al museo. Era la tavola del ritorno, quando ancora si sperava che gli ostaggi, tutti, sarebbero tornati per Pessach, Pasqua, il passaggio verso il ritorno nella Terra di Israele.

Il destino incerto degli ostaggi

Ogni posto della tavola era segnato da un cartello con il volto e l’età dell’ostaggio, e c’era in fondo un angolo riservato ai più piccoli, i fratellini Bibas, i bimbi dai capelli rossi catturati da un’ultima immagine mentre i terroristi li portavano via, in braccio alla loro mamma. Kfir aveva solo 10 mesi: ora avrebbe due anni. Avrebbe, il condizionale è terribile perché il suo nome insieme al fratellino Ariel, che aveva quattro anni, e alla mamma, Shiri, sarebbero nella lista segreta di “ostaggi non più in vita” consegnata da Hamas ai servizi israeliani.

«Non parlatene per favore, almeno finché non sapremo nulla di sicuro», dichiara a Tempi una zia nel kibbutz di Nir Oz dove la famiglia è stata sequestrata. Il padre Yarden comparve in un video diffuso da Hamas in cui accusava il governo di Netanyahu di non aver fatto abbastanza, un filmato registrato dopo che all’uomo era stato detto che la moglie e i figli erano morti in un bombardamento. Propaganda, si disse, nutrita di messaggi indotti, lo strumento più crudele per usare gli ostaggi come un’arma di guerra, facendo strage dei cuori dopo aver fatto strage dei corpi. Dosando con crudeltà il diritto al ritorno, dei morti come dei vivi.

Un cartello invoca il rilascio di Shiri Bibas in Israele (foto Tempi)

«Come posso non sperare?»

I ritratti degli ostaggi ora sono appesi a un albero,........

© Tempi