“Come pecore in mezzo ai lupi”, ripeteva Shagufta Kausar nel buio di quella cella senza finestre. Due o tre passi tra il letto e la latrina, la temperatura che d’estate in Pakistan superava i 45 gradi, la paura che la macerava come il pensiero dei suoi quattro figli presi in custodia dallo Stato e di suo marito Shafqat. Sapeva che lo avevano tirato giù dalla carrozzina e appeso per i piedi, torturato e picchiato fino a estorcergli una confessione. Custodiscili, custodiscimi, aiutami tu, pregava ogni secondo, perché degli uomini che l’avevano rinchiusa nel braccio della morte quella donna cattolica aveva il terrore. Come aveva potuto il tribunale credere alle accuse dell’imam, come avrebbero potuto lei e il marito inviargli sms blasfemi in inglese, loro, che erano analfabeti e nemmeno possedevano un telefono? Aiutami tu, pregava, quando l’uscio della cella si apriva ed entravano quelle due donne velate: convertiti all’islam, abiura la tua fede cristiana, le ripetevano, e riavrai la tua libertà, i tuoi figli, la tua famiglia.
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Shagufta Kausar aveva paura ma non aveva dubbi: per otto anni la sua fede in Cristo illuminò quell’angolo di galera dimenticato da tutti tranne che da Dio. Non cedette mai alla disperazione, né alle lusinghe delle donne che le promettevano la libertà in cambio di una conversione: sei una madre, le ripetevano, i tuoi figli hanno bisogno di te. A Natale le concedevano qualche minuto di preghiera insieme a un’altra madre condannata a morte e rinchiusa nella cella accanto: Asia Bibi. Pochi minuti insieme in attesa di una esecuzione che poteva arrivare da un momento all’altro e per mano di chiunque volesse conquistarsi gloria e donne promesse da Allah uccidendo un blasfemo. Nel 2018, dopo 3.421 giorni di prigionia, Asia Bibi venne rilasciata: Shagufta venne trasferita nella sua cella, prendendone il posto fisicamente e agli occhi dei tanti che iniziarono a battersi anche per la sua liberazione.
In tanti assistono al feroce attacco alla comunità cristiana per un caso di presunta blasfemia a Sargodha, Pakistan, 25 maggio 2024 (Ansa)Da Shagufta ai cristiani di Jaranwala, migliaia di vittime della legge sulla blasfemia in Pakistan
Sono passati undici anni, da quel 20 luglio 2013, quando una folla inferocita fece irruzione nella casa di Shagufta: la famiglia stava festeggiando il compleanno di uno dei quattro figli quando i genitori vennero trascinati fuori casa. La donna non li rivide per tre anni e dovette aspettarne otto per essere scagionata e riabbracciarli. Ora vivono all’estero, in un luogo sicuro e al riparo dalle vendette degli estremisti, ma le carceri pakistane continuano a traboccare di persone come Shagufta: uomini,........