Antonio Visicchio: «Decaro trionfa, Ruvo interroga il centrodestra: contraddizioni e sfide del dopo-voto»
Antonio Visicchio – avvocato, giornalista e docente universitario – condivide con i nostri lettori un’analisi del voto all’indomani delle elezioni regionali che hanno consegnato a Decaro «una vittoria larga nei numeri, ma al tempo stesso hanno riaperto il dibattito sugli equilibri, le leadership e le prospettive del centrodestra pugliese, con particolare attenzione al caso ruvese».
Come ci confida, l’avv. Visicchio trasferitosi da alcuni anni a Roma, continua a seguire «con costanza e grande attenzione la politica locale, anche alla luce di un percorso di formazione maturato in diverse scuole politiche». Nel 2000, appena diciannovenne, è stato finalista nazionale per il Lazio alla Scuola politica di Alleanza Nazionale; nel 2015 ha partecipato al corso “La Politica 2.0” promosso dall’Università Pegaso e dal Club “Forza Silvio”; nel 2016 ha preso parte alla Scuola “Comprendere il XXI secolo”, organizzata dalla Fondazione Magna Carta del senatore Quagliariello.
«In Puglia non c’è stato un ribaltone, ma una conferma. Antonio Decaro conquista la Regione con il 63,97% contro il 35,13% di Luigi Lobuono. Il tutto su un’affluenza crollata al 41,83%, oltre quattordici punti in meno rispetto al 2020. Il nuovo presidente nasce solidissimo nei numeri, molto meno nel radicamento democratico del mandato: il primo partito resta, inesorabilmente, quello del non voto.
Se si guarda a Ruvo di Puglia, l’affluenza si ferma al 45,81%, qualche punto sopra la media regionale, ma resta il fatto che più di un elettore su due non vota. È un astensionismo che convive con picchi di consenso molto personalizzati su pochi candidati, segno di un voto di opinione sempre più concentrato ma costruito su una base elettorale via via più ristretta.
Per il centrodestra il quadro è più severo di quanto suggeriscano le percentuali. Fratelli d’Italia è il primo partito della coalizione e tuttavia resta confinato all’opposizione. Candidati come Domenico Damascelli (10.675 preferenze personali) restano fuori dal Consiglio per gli effetti distorsivi di una legge elettorale che finisce per penalizzare proprio i leader con più consenso. Una sconfitta di tali proporzioni non nasce nelle urne, ma nei mesi in cui si è rinunciato a costruire un progetto: il nome di Lobuono arriva tardi, al termine di veti incrociati, lasciando al candidato poche settimane per trasformarsi da manager stimato in aspirante governatore credibile.
Decaro, nel frattempo, ha occupato tutto lo spazio politico disponibile, parlando al cuore di un elettorato che lo percepisce prima di tutto come amministratore rassicurante più che come uomo di partito, sostenuto da una lista personale che sfiora il 13% e da un “campo largo” che in Puglia continua a funzionare più che altrove.
La lettura nazionale, cara a certi commentatori, è però forzata: il 3-3 tra maggioranza (Marche, Veneto, Calabria) e opposizione (Toscana, Puglia, Campania) dimostra che non c’è alcuna “spallata” al governo Meloni, ma un’Italia ridotta a un mosaico eterogeneo di equilibri regionali. Per il centrodestra pugliese la lezione è chiara: senza una classe dirigente radicata, regole di selezione trasparenti e un candidato scelto almeno un anno prima, la Regione resterà laboratorio del progressismo meridionale; e non basteranno le passerelle last minute dei leader nazionali per rovesciare un ciclo ventennale.
Nel quadro di una tornata segnata dai grandi numeri di Decaro, il dato personale più vistoso a Ruvo porta il nome di Piero Paparella. Il “paparellismo” ruvese rappresenta, in scala locale, una miniatura di fenomeni che la letteratura politica ha battezzato come territorio gavianeo, feudo mastelliano, Irpinia........





















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