Trump o Harris? Come voterebbero i politici italiani alle elezioni americane

L'atmosfera è cambiata dalla stagione della sovranità limitata. Anche per questo la politica italiana oggi intrattiene relazioni più sincere, ma non meno influenti, con quella americana. Per questo chi sederà nello studio ovale interessa eccome a maggioranza e opposizione, che hanno predilezioni tutt'altro che univoche al loro interno. Dato che nel centrodestra il vessillo di Trump è brandito innanzitutto dal vicepremier Salvini, con la presidente Meloni e l'altro vice e ministro degli esteri Tajani affatto più prudenti, per non dire diffidenti. Mentre nel centrosinistra, schierato decisamente per Harris, se il leader 5 Stelle Conte non simpatizza per il tycoon, perlomeno non lo osteggia, all'insegna dell'equidistanza.

Quanto la politica italiana sia stata condizionata da quella americana si legge negli annali. Il primo centrosinistra «organico» nacque nel 1963 in era Kennedy/Johson e non rivide luce con l'avvento di Nixon nel 1968. Mentre nel 1976 una più che riluttante amministrazione Carter permise ad Andreotti d'incassare l'astensione del Pci, all'insegna di un compromesso poi estinto dall'edonismo reaganiano e della Milano da bere anni '80. Nella seconda Repubblica, la giovane presidenza Clinton ha convalidato non solo l'Ulivo prodiano ma il noviziato dalemiano, primo premier post-comunista grazie ai buoni uffici di Cossiga. Berlusconi, da par suo, ha duettato nel bene e nel male con tutta la presidenza di Bush jr., iniziando a stentare dall'avvento Obama nel 2009. Analogamente Renzi (e Letta prima) è durato fino al 2016, quando Trump è salito in sella. Mentre con The Donald nello studio ovale si è insediato il........

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