Dall’inizio dell’anno due milioni di italiani hanno risposto a un bando della Pubblica amministrazione, soprattutto locale, per concorrere a un lavoro in un ente. Che non garantisce grande carriera ma uno stipendio sicuro pur se limitato, e soprattutto lascia tempo per sé. È una tendenza in crescita dopo la pandemia.
«Checco cosa vuoi fare da grande? Io voglio fare il posto fisso. Che gente serena, che esistenze appagate». Con poche frasi Checco Zalone, in un suo celebre film, ha saputo riassumere magistralmente quello che è stato per intere generazioni il mito del posto fisso, sinonimo di Poste, scuola, ministeri, in generale di Pubblica amministrazione. Un’immagine che pareva tramontata anche sull’onda di una campagna denigratoria sullo statale «scansafatiche» che si fa timbrare il cartellino dal collega per andarsene al mare. E soppiantata dal modello dell’imprenditore rampante, del self made-man sul modello americano, del lavoro sette giorni su sette, «h24», niente Natale e figurarsi a Ferragosto. Poi però è arrivata la crisi e, dopo questa, il Covid, con la decimazione delle piccole imprese, la paura di non riuscire a riaprire l’attività e anche un cambio di visione del modo in cui si intende un’occupazione.
Tutto questo forse spiega l’esercito di due milioni di candidati che da gennaio di quest’anno hanno risposto alla chiamata dei 13.274 bandi nella Pubblica amministrazione con in palio 288.558 posti, ben il 176 per cento in più di quelli aperti nel 2023. Sono infatti oltre 1,7 milioni le persone registrate a InPa, il portale del reclutamento dove va inviata la domanda di partecipazione ai concorsi. Ora niente più scartoffie, che nel pubblico è tutto digitale. La maggioranza dei test di selezione (79 per cento) arriva dalle amministrazioni locali. Così mentre le aziende faticano a trovare dipendenti, anche con una giusta retribuzione, la ristorazione e gli alberghi sono costretti a pescare tra gli immigrati con scarse qualifiche, le aziende di........