Vito Teti critica la visione retorica della "dieta mediterranea", proponendo una comprensione più storica, sociale e diversificata delle culture alimentari del Mediterraneo
Per Vito Teti, già ordinario di Antropologia culturale presso l'Università della Calabria, studioso di antropologia e letteratura dei luoghi - il suo “La restanza” (Einaudi, 2022) è uno dei libri di saggistica più venduti e più recensiti negli ultimi anni - e autore di “Dieta mediterranea. Realtà, mito, invenzione” (Treccani, 2024), più che utilizzare l’abusato termine di “dieta mediterranea”, sarebbe corretto, da un punto di vista storico-antropologico e alimentare- parlare di «cultura alimentare del Mediterraneo. Questo vuol dire che esistono delle culture tradizionali simili in tutti i luoghi del Mediterraneo, ma nello stesso tempo sono diversificate a seconda dei luoghi, delle produzioni, dei ceti sociali e dei diversi periodi storici».
Ci sono tutti i classici elementi della ricerca antropologica condotta sul campo. Quelli alimentari (il pane, l’acqua, la pasta, le erbe, la carne) e quelli costitutivi la struttura di una società (la fame, l’abbondanza, l’immaginario, le nostalgie, le utopie alimentari). Impegnato dall’inizio degli anni Settanta nella costruzione di una problematica identità anche alimentare, Vito Teti ama parlare dell’alimentazione mediterranea come «espressione di una civiltà fondata sul senso dell’ospitalità, della sacralità del cibo, del mangiare insieme».
Ora una nuova ricerca che sovverte le consolidate certezze, quasi a voler abbandonare i tradizionali clichè secondo i quali “noi siamo ciò che mangiamo”.
Professor Teti, ci aiuti a comprendere…
«Ritengo che il problema non sia tanto che la dieta mediterranea sia un’invenzione, ma che sia un’invenzione vaga, mobile, che abbraccia aspettative e memorie a volte contraddittorie, che torna a un passato mitico e che diventa discorso ideologico chiuso e autoreferenziale. Paradossalmente essa diventa il luogo di un “mediterraneismo” esasperato e insieme di un “mediterraneo centrismo” che non tiene conto del suo essere frutto di processi storici globali fin dall’antichità, dimentica il carattere sociale e di classe del mangiare e anche le mille varianti locali, che non possono essere “unificate”».
La sua ultima ricerca insiste sulla dimensione storica, sociale e simbolica del cibo.
«Sono fermamente convinto che anche se non abbia l’impatto pratico........