Il business dei quattro zampe in gabbia
Sono circa 100 mila i cani chiusi in strutture ufficiali o in rifugi che, in media, ricevono un contributo di 1.270 euro all’anno per animale. Così si alimenta un giro d’affari di cui troppi si approfittano, negando le adozioni per fare cassa
Quindici è un paese di poco meno di duemila abitanti in provincia di Avellino, nel cuore della Valle del Lauro. Cerchiamo il canile che, seppure gestito da un privato, gode di varie convenzioni con i Comuni della zona che qui mandano i cani randagi una volta accalappiati. Una volta arrivati, però, non troviamo traccia di nessuna struttura. Cominciamo a chiedere in giro. «Dovete salire sulla montagna» ci dice sogghignando un omaccione davanti al bar. E noi, armati di pazienza e coraggio, ci avventuriamo per le strade che salgono sempre di più, si inerpicano lungo lo dorsale del monte che affaccia sull’intera valle del Lauro.
Eppure non c’è traccia di alcuna insegna: sembra non esistere. Chiediamo a ogni passante nel quale ci imbattiamo che, invece, conferma che, sì, un canile c’è. E infatti, dopo aver percorso chilometri e dopo essere arrivati sul cucuzzolo della montagna, troviamo una struttura con oltre cento cani. Il gestore, a tratti imbarazzato, ci spiega che lì gli animali stanno bene. Eppure troviamo metà dei box ancora in costruzione. «Eh, lo so. Mi sto adeguando alle nuove leggi che richiedono una coibentazione» spiega. Un adeguamento che va avanti però da anni. Soprattutto se si considera che la legge regionale è del 2019. Intanto, e come se tutto fosse a norma, l’imprenditore incassa soldi pubblici.
E resta la domanda delle........
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