La ricerca disperata dell’eterna bellezza |
Chiunque, uomo o donna, abbia visto Tadzio sfilare sul red carpet del Festival di Cannes del 1971 ne è rimasto dannato.
Nessuno mai, questo l’orgoglio di Luchino Visconti nella trasposizione cinematografica di “La morte a Venezia”, supremo racconto di Thomas Mann, era riuscito a dare forma fisica, reale, plastica al mito della bellezza assoluta, angelica, efebica, asessuata. Il mito della perfezione. Il mito della giovinezza. E questo era Tadzio, protagonista sfuggente del libro e del film, interpretato dall’allora quindicenne Björn Andrésen, definito da Visconti “il ragazzo più bello del mondo” e scomparso pochi giorni fa, a settant’anni, mal portati, ossuto, bianco nella barba incolta e nei lunghi capelli arruffati, ripreso in un recente documentario dentro una misera casa mentre si muove tra immondizia, avanzi e scarafaggi. Il fanciullo meraviglioso era diventato un povero vecchio. Che terribile pedagogia.
Tutti, ai tempi, si erano innamorati di quel volto etereo e tutti avevano pensato che il ragazzino svedese, scelto tra centinaia e centinaia di provini ossessivi, fosse musa e vittima della voracità vampiresca di Visconti, che era gay dichiarato in un momento storico nel quale questo tabù veniva nascosto con vergogna e che invece lui esibiva con spregio, tanto da vivere alla luce del sole con un altro bellissimo giovane, il demoniaco Helmut Berger. Ma evidentemente di una bellezza che non bastava. Di certo non bastava per quel ruolo, nel quale il grande regista pretendeva la perfezione per riuscire a riversare sulla pellicola........