I – Il processo democratico, cioè il modo in cui le democrazie discutono per deliberare, è complesso e complicato perché tutto il popolo è chiamato a partecipare e decidere. Questo processo fa sembrare la democrazia meno pronta ed efficace dell’autocrazia, dove la risoluzione è frutto di un conciliabolo tra pochi e spesso di uno solo. Per di più, le democrazie tendono a collaborare e solidarizzare, come all’apparenza fanno pure le autocrazie, che tuttavia non riescono mai a superare fino in fondo le diffidenze reciproche. Gli Stati, in verità, si comportano nelle relazioni internazionali alla stessa stregua, né più né meno, degli uomini nei loro rapporti intersoggettivi. Lo conferma Tocqueville, nientemeno, ne La democrazia in America: “I popoli fra loro non sono che individui”.
Di fatto, non incontriamo soltanto le persone miti. Conosciamo pure le aggressive. Così, nel mondo vediamo Stati paghi della loro tranquillità e desiderosi di intrattenere con gli altri relazioni basate su accordi tra eguali. Tali Stati reputano importante il consenso liberamente scambiato nell’obbligarsi. Tengono fede ai trattati. Nello stringere un’alleanza non si aspettano vantaggi diversi da quelli in vista dei quali si sono impegnati e hanno sanzionato in apposite clausole. Né pretendono dalla controparte sacrifici che non è tenuta a sopportare secondo i patti.
Vengono poi altri Stati, certo più numerosi, i quali sono in perenne agitazione verso l’estero. Concepiscono disegni di sopraffazione. Desiderano imporsi piuttosto che collaborare con altri Paesi. Sono esosi e causidici. Usano il ricatto per ottenere quanto non spetta. Quello che possono, se lo prendono con la forza o con l’inganno, incuranti delle proteste. La loro politica è fondata sugli atti d’imperio, non sugli accordi, che stringono senza intima adesione con artifici e simulazioni. Anche delle istituzioni internazionali si servono come strumenti di potenza.
Non da oggi, ma da Demostene nel Primo discorso per Olinto sappiamo che “in generale i regimi tirannici sono guardati con sospetto dagli Stati costituzionali, specie quando si tratta di stati confinanti”. Tuttavia, questo sospetto non è forte quanto la diffidenza che al contrario i regimi dispotici nutrono verso le nazioni libere. Un gran vantaggio dei primi sulle seconde. Dipende dallo stesso sistema di governo costituzionale, aperto e fondato sulla fiducia, piuttosto che sul timore preconcetto.
Abituati all’uniformità, che il dispotismo sempre genera, i governanti delle nazioni oppresse paventano gli Stati costituzionali anche a causa della varietà che li contraddistingue, nella quale vedono pericoli subdoli e imprevedibili. Poiché all’interno hanno bisogno di dirigere tutto per sopravvivere, quanto possa sfuggire al loro controllo fuori dai confini statali li getta nell’insicurezza, rendendo aggressiva la loro azione politica. Sicché moltiplicano gli sforzi per proteggersi e ingigantiscono un patriottismo giovevole soprattutto alla conservazione del potere. Restano attanagliati da una vera e propria ossessione per la guerra. In larga parte, tale deformazione psicologica e sociale è però una proiezione della bellicosità causata dalla mancanza di libertà piuttosto che una naturale risposta all’aggressività altrui.
II – Le manifestazioni e le marce per la pace, sotto bandiere diverse dalla pace genuinamente perseguita come ideale anziché obliquamente per altri scopi, non sono un esempio di civismo perché sbagliano direzione, rivolgendosi ad Ovest anziché Est, al mondo libero anziché alle autocrazie. Dovrebbero dirigersi verso regimi bellicosi perché oppressivi ed inocularvi il “fattore-libertà”, l’unico antidoto veramente efficace contro la guerra. A tacere del fatto che spesso l’agitarsi per la pace è soltanto una forma di antiamericanismo sbieco, con cui danno sfogo all’invidia e all’odio verso quella nazione. La pace è una cosa terribilmente seria perché si possa lasciarla esclusivamente ai pacifisti di strada, per quanto ottime siano le loro intenzioni.
Esistono almeno tre modi per garantire........