Woke ti odio! Fine di una dittatura

Chi l’avrebbe detto che la mouvance woke e con lei il wokism (un ibrido metà ideologia e metà dittatura mediatica) del “politicamente corretto” sarebbe rapidamente tramontato, almeno in America, stando all’accurata (e molto costernata) analisi del super quotato settimanale britannico The Economist.

Finalmente, il mondo occidentale mostra segni e segnali di grande stanchezza, nei confronti di una censura generalizzata della parola, che ha ossessivamente ricercato un nettoyage del vocabolario in tutte le lingue parlate, arrivando persino a cancellare e denunciare gli accadimenti e i personaggi storici, etichettandoli e quindi mettendoli al bando, in quanto razzisti, omofobi, schiavisti, colonialisti e politicamente scorretti.

Ora, tutto ciò non si è limitato a una mera operazione linguistica, per cui il reprobo ha diritto al suo bel cilicio simbolico e al rimprovero pubblico, ma ci si è mossi da parte dei wokist come se le violazioni al politically correct imperante dovessero essere considerate alla stregua di reato penale e, quindi, perseguibili in giudizio.

Per fortuna, la presunta offesa (e meno male) rimane procedibile solo a denuncia di parte e, pertanto, non può essere azionata da una collettività (più o meno estesa, come una class action) di persone sodali tra di loro, i quali, teoricamente, come gruppo di cittadini, si siano sentiti offesi dal medesimo soggetto e dalle stesse parole. Tuttavia, quella persecuzione collettiva mancata ha avuto però, nella sostanza, lo stesso risvolto pratico della condanna civile........

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