Quel “qualcosa” del delitto di Alessandro Impagnatiello

È iniziato nell’aula della Corte d’Assise del Tribunale di Milano uno dei processi che lasciano sgomenti rispetto all’impietosa galleria delle violenze efferate contro le donne. Alessandro Impagnatiello si è presentato “ristabilito”, cioè diverso dal giovane col cappuccio che fingeva di non sapere dove fosse Giulia Tramontano, la sua fidanzata incinta del piccolo Thiago, con cui aveva una relazione burrascosa. È diverso poi dal “mostro” che ha confessato quell’incommentabile delitto, spietato, freddo e assassino. Soprattutto gelido, nella sua mise di barman dell’Armani Caffè Bamboo Bar di viale Manzoni a Milano, il quartiere di Re Giorgio nel quadrilatero della moda. Reo confesso, Impagnatiello, arrestato, ha subito ceduto di fronte all’incalzare dell’inchiesta giudiziaria e ha ammesso di essere stato “lui” ad uccidere Giulia, facendone ritrovare il corpo.

È probabile che “la confessione”, incalzata dai magistrati, frantumi quel copione potremmo dire “in voga” sul palcoscenico mediatico. Copione il quale, ancorché espressione della disperazione dei famigliari delle vittime e del livore della “piazza elettronica”, suggella il ruolo di maschio femminicida come eroe negativo del tempo che viviamo. Dall’atteggiamento assunto anche in aula dall’imputato si è notato un profilo, cioè un essere, completamente diverso.

Alessandro Impagnatiello, 30 anni, con accuse che vanno dall’omicidio aggravato da premeditazione, crudeltà, futili motivi, vincolo affettivo, occultamento di cadavere e procurata interruzione di gravidanza, è entrato in Tribunale a testa........

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