Perché non possiamo dirci macroniani

L’editoriale a firma del ministro Eugenia Roccella, pubblicato ieri l’altro dal Giornale e dal titolo Una cerimonia per cancellare le nostre radici, ci interroga sull’orizzonte antropologico della cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici. Domandiamoci allora se, in un momento particolarissimo della storia dell’umanità, tempestato da guerre, fame, siccità e promesse di escalation che ci avvicinerebbero a grandi passi al Big Bang finale della civiltà, sia utile insistere sulla pessima performance dei francesi e non, invece, limitarci a considerarla vicenda di dettaglio. Non è che si stia esagerando con le polemiche? Si vuole forse distogliere l’attenzione delle opinioni pubbliche dai giganteschi problemi che le attanagliano litigando su inezie? È nostra opinione che della cerimonia si debba parlare, eccome. Anche perché Eugenia Roccella ha centrato il cuore della questione. Quello che è andato in scena nella capitale francese va ben oltre il cattivo gusto: è un attacco diretto ai valori costitutivi della civiltà occidentale. Per dirla con le parole del ministro, è “la rappresentazione plastica di un’operazione di sostituzione delle radici del nostro mondo, o, se vogliamo, di rifondazione del nostro Occidente”. È la dichiarazione di morte per atto rivoluzionario della cultura che ha sostenuto e propiziato lo sviluppo ultramillenario dell’Occidente. Sotto il piovoso cielo parigino le radici greco-romane e giudaico-cristiane dell’Europa sono state poste in cima a una pira a cui è stato dato fuoco per ingraziarsi il favore delle divinità di un nuovo paganesimo, postmoderno, fondato sul melting pot di etnie, di genere asessuato, omologante nel linguaggio, intollerante verso la diversità di pensiero.

Con qualche superficialità la critica si è focalizzata sul tabloid vivant che presentava una versione “queer” del Cenacolo, il dipinto parietale di Leonardo da Vinci. Effettivamente, si è trattata di un’esibizione disgustosa. Ed è verosimile che........

© L'Opinione delle Libertà