Al termine di ogni elezione inizia uno stucchevole dibattito intorno ai dati dell’affluenza alle urne. Da un lato ci sono quelli che hanno riscontrato una percentuale di voti superiore a quelle precedenti che si affrettano a dire che hanno stravinto nel timore che qualcuno ne metta in discussione il risultato e dall’altro ci sono quelli che avendo preso una batosta in termini di eletti si scatenano, nel tentativo di delegittimare l’avversario, contro gli astenuti, rei a dir loro, di aver fatto primeggiare l’altra parte ed avere dato un segnale di disaffezione a quella che loro ritengono democrazia.
Di fatto hanno torto tutte e due le parti. È solo un esercizio retorico per spostare l’attenzione dei sempre meno interessati spettatori dalle vere questioni, sapendo che il loro posto è comunque salvo.
Fortunatamente il sistema istituzionale, economico e sociale funziona a prescindere essendo fondato, grazie a chi l’ha pensato e realizzato nell’arco di secoli, sulla stabilità della legge e non sulla precarietà delle maggioranze politiche che si alternano. Di fatto è quello che avviene nell’Unione Europea, dove gli stati sono costretti, a prescindere dai governi eletti democraticamente, a osservare regole ed accordi che nel tempo hanno controfirmato e poi ratificato nei rispettivi Parlamenti.
Ed è anche per questo che nelle grandi democrazie dell’Occidente le persone spesso rinunciano ad esprimersi attraverso le elezioni. E quello che per alcuni è un allarme democratico, per la presunta perdita di fiducia nelle istituzioni invece, si rivela essere un atto di credito proprio verso le stesse, perché i cittadini ritengono, molto probabilmente inconsciamente, che la loro partecipazione al rito elettorale in fin dei conti fa mutare di poco la loro vita, che viene percepita come........