Adrian Piper, traditrice della sua razza

“Avete colleghi neri nel vostro posto di lavoro?”. “Avete mai avuto rapporti sessuali con una persona nera?”. C’è una parete piena di cornici che contengono domande di questo genere: all’inizio sembrano abbastanza innocue, poi si fanno sempre più pressanti e dettagliate. Nel frattempo una voce registrata ci dice in tono quasi di scusa: “I just want to know”… vorrei solo saperlo; anzi, mi scuso se posso sembrare indiscreta. Fino all’ultima cornice, che recita: “Vi mette a disagio l’idea di esporre queste domande sulla parete del vostro soggiorno?”.

Questa è Close to home, un’opera del 1987 dell’artista concettuale, performer e filosofa statunitense Adrian Piper in mostra al Padiglione d’arte contemporanea (Pac) di Milano in occasione della retrospettiva intitolata Race traitor, traditrice della sua stessa razza, fino al 9 giugno.

Adrian Piper, che oggi ha 75 anni, è un’artista e una filosofa kantiana con un dottorato ad Harvard. È nata in una famiglia afroamericana borghese che l’ha fatta studiare in scuole private per lo più frequentate da bianchi facoltosi. La sua pelle molto chiara le permetteva, come si dice in gergo, di “passare”. Ovvero di passare per bianca. Nelle foto e nei video in mostra, a seconda della luce, della posa, dell’età e dell’acconciatura dei capelli, Piper sembra sfuggire a qualunque idea preconcetta di appartenenza etnica. Lei stessa attraversa a suo piacimento la linea assolutamente immaginaria che divide quelle che, con un termine ormai sempre meno usato, siamo stati abituati a chiamare “razze”. In un notevole schizzo a matita del 1981 intitolato Self portrait exaggerating my negroid features (Autoritratto che esalta i miei tratti negroidi) Piper si rappresenta più nera di come la vedono gli altri e mostra come la percezione della razza sia essenzialmente un gioco di specchi.

L’assunto di fondo di tutto il lavoro di Piper è che la razza è un costrutto culturale creato da........

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