Cara Tiziana,
questa nostra corrispondenza è particolarmente felice perché non parliamo delle stesse cose, non proveniamo dalla stessa storia professionale e neanche da un identico cammino politico. Ho già raccontato la mia vita di giornalista tra i fondatori di Repubblica, nove anni alla Stampa, dove non sapevano forse come liberarsi di me e mi proponevano di andare a vivere in Africa. Approdai al Giornale nel momento di massima disgrazia di Silvio Berlusconi che, dopo avere temerariamente sbaragliato il Pds e la gioiosa macchina di guerra di Achille Occhetto, si era seduto al tavolo di Palazzo Chigi con la soddisfazione di aver conquistato il ruolo di capo del governo.
Dove credeva di essere? Al numero 10 di Downing Street? Il sistema politico italiano è fatto di nasse per aragoste affinché i vincitori vengano digeriti e sostituiti da chi non aveva vinto. Tu, Tiziana, eri già entrata alla Camera e avevi potuto prender confidenza con quel sistema assirobabilonese così lontano dalla Camera dei Comuni. C’era ancora entusiasmo tra le file berlusconiane, ma montava e si sentiva quel clima da guerra civile mentale per cui ci si toglieva il saluto tra parenti e amici d’infanzia: “Come hai potuto diventare berlusconiano se eri un compagno e ti ricordo benissimo alla tale e talaltra........© Il Riformista