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Reportage sulla tregua in Medio Oriente. Viaggio in Israele, tra preghiere, tavole da surf e una convinzione: “Noi attaccati”

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03.12.2025

Tel Aviv, 3 dicembre 2025 – I ragazzi con la muta e la tavola da surf sotto al braccio, alle cinque del mattino, quando il sole non ne vuole ancora sapere di alzarsi, tagliano il lungomare Tayelet di Tel Aviv e affondano i piedi nella sabbia bianca delle spiagge di fronte ai grattacieli, pronti a solcare le onde gentili del Mediterraneo. I suoni muti di Mahame Yehuda, lo shuk incastrato nel cuore di Gerusalemme e oggi vuoto di turisti, dove si rincorrono colori e profumi in un crocevia di religioni, diffidenze reciproche e timori che qualcosa di inaspettato, di brutto, possa sempre accadere. La liturgia ortodossa davanti al Muro del pianto e il Bar Mitzvah festante dei ragazzini che, compiuti i 13 anni, entrano nell’età responsabile religiosa. Le nuvole di polvere nel deserto del Negev che scortano i viaggiatori fino ai terreni punteggiati dagli alberi dove, poco più di due anni fa, si tenne il tristemente celebre Nova festival. Un’area trasformata oggi in una distesa di foto dei ragazzi uccisi, di messaggi, ninnoli e preghiere.

Poi, quella barriera elettrificata lungo il border, il confine che si vede dalla collina di Sderot. E di là, piccola, in una giornata di pioggia insistente ma leggera, spunta l’unica veduta possibile di Gaza che lascia solo immaginare distruzione e morte. Di qua, i kibbutz come quello di Kfar Aza che sembra un villaggio vacanze fuori stagione, ma che........

© il Resto del Carlino