Per usare una metafora ad hoc, la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato viaggia da anni su un binario sotterraneo che, di tanto in tanto, esce allo scoperto. A tirarla fuori dal tunnel è stata giovedì la presidente Giorgia Meloni, dicendo che il governo intende andare avanti con le privatizzazioni e ipotizzando, nel caso delle Fs, l’entrata di privati nel capitale «con quote minoritarie».
Andrea Giuricin, economista dei trasporti all’Università di Milano Bicocca e fondatore della società di consulenza TRA Consulting, una lunga esperienza nel settore ferroviario, ritiene che questa volta ci siano tutte le condizioni perché il processo di vendita inizi davvero ma che, allo stesso tempo, non si tratti di un’operazione fattibile in tempi rapidi, senza che prima vengano prese decisioni cruciali per il futuro del gruppo e del trasporto ferroviario in generale.
Giuricin, l’operazione è davvero realizzabile?
«La risposta è sì, certamente, ci sono molti esempi che dimostrano l’interesse dei grandi investitori per questo genere di attività. La stessa presidente Meloni ha però osservato che si tratta di un processo estremamente complesso, sia che venga ceduta una quota dell’intero gruppo Fs – quindi la rete dei binari con tutti i treni, per intenderci – sia che ci si limiti a vendere Trenitalia, ovvero il servizio di trasporto ferroviario».
Perché un processo lungo?
«Al momento non è ancora chiaro che cosa si vuole vendere. Un conto è mettere sul mercato una quota dell’intero gruppo, con dentro l’infrastruttura dei binari, un altro limitarsi al servizio ferroviario. Nel primo caso l’operazione garantirebbe un incasso superiore, nel secondo la valutazione si semplificherebbe un po’».
Nel 2018 Italo venne venduta a 2,4 miliardi, mentre la cessione al gruppo Msc dello scorso anno – ancora da finalizzare – è avvenuta con una valutazione di 4,2 miliardi, debiti compresi. Quanto può valere Trenitalia?
«Non è facile dirlo, perché occorre approfondire ancora alcuni aspetti rilevanti, come ad esempio la redditività dei servizi non a mercato, come i treni regionali. Se consideriamo l’intero perimetro, si tratta comunque di una società molto più grande di Italo. Dal mio punto di vista è difficile immaginare una valutazione inferiore ai 5-6 miliardi di euro».
Con l’ingresso dei privati nel capitale, ci sarebbero rischi per i regionali, i treni dei pendolari?
«Non credo proprio. In quasi tutte le Regioni dove Trenitalia opera a livello locale il servizio attuale e gli investimenti previsti sono garantiti fino al 2032 da contratti di servizio già firmati. Dall’anno successivo l’Unione europea impone poi che il servizio venga messo a gara e, dunque, sarebbero le Regioni a stabilire le condizioni. Di solito si tratta di contratti che hanno una buona redditività, ci sarebbero i margini per programmare ulteriori investimenti».
Perché secondo lei l’ipotesi prevalente è la vendita a privati, non al pubblico con la quotazione in Borsa?
«Dipende dal fatto che sul mercato esistono grandi fondi internazionali con ingenti risorse da investire in attività infrastrutturali, che offrono prospettive di rendimento molto stabili. In questo genere di operazioni, i fondi spesso garantiscono una valutazione della società pari a 10-11 volte il margine........