Un vecchio e un giovane, un chiasmo di solitudini, alle prese con il sesso digitale. Augusto, professore di francese simile ad altri alter ego sitiani, e Astòre, il ragazzo che per non soffrire cerca di diventare insensibile come un robot
A Walter Siti non dispiace esibire una perentorietà da sentenza o da ultimatum. Lo si vede già dai titoli dei suoi libri. Ma quello del suo ultimo romanzo uscito ora per Rizzoli, “I figli sono finiti”, è più lapidario del solito. Potrebbe suonare un po’ come un “dopo di me il diluvio”. Senza dubbio annuncia un testo che ha davvero qualcosa di definitivo. Molti cerchi vi si chiudono. Per certi versi “I figli sono finiti” sembra quasi il seguito di un altro romanzo milanese di Siti, “Bruciare tutto” (2017). L’Astòre protagonista del libro di oggi, ventenne intelligentissimo e fragile, somiglia parecchio al bambino Andrea che spiccava nella trama di sette anni fa: come se, resuscitato dalla sua morte orribile, lo stesso personaggio avesse potuto attraversare l’adolescenza. Ma stavolta, anziché fargli incontrare un giovane prete macerato dal rimorso, l’autore gli assegna come vicino di casa un vecchio professore di francese delle superiori, il settantenne Augusto.
Il romanzo del 2017 si concludeva su una sciagura esotica, e così si apre “I figli sono finiti”: nel gennaio del 2020 Vincenzo, il marito di Augusto, annega durante un viaggio in Colombia. Il professore ne ha letteralmente il cuore spezzato: e di lì a poco gli sarà concesso un trapianto. L’incidente decreta il fallimento dell’unica famiglia che Augusto ha saputo crearsi. Simile a tanti alter ego sitiani, oltre Vincenzo ha conosciuto infatti solo fiacche relazioni di compromesso o l’abbandono a “desideri inconsulti”. Ed è a questi desideri che si riconsegna vedovo, nella sua “vecchiaia senza riparo”: rapidi accordi con sconosciuti, contatti social, ma anche un escort fisso che stabilisce una consuetudine ben nota ai lettori di Siti. Come ben nota è l’ingegnosità con cui, in ogni suo libro, Siti prova a intrecciare l’esistenza dei suoi personaggi a una realtà sociale al tempo stesso sempre più virtuale e sempre più cruda: solo che in questo caso il romanziere è preso in contropiede dalla Storia. Due mesi dopo la sepoltura di Vincenzo scoppia la pandemia Covid, nella quale al lutto per il singolo caro si sovrappone una morte di massa; e due anni dopo la guerra in Ucraina. La lunga, equivoca pace post 1945, e l’inganno ideologico di un progressismo via via più sbiadito, cioè gli orizzonti entro i quali si è svolta l’intera esistenza della generazione di Augusto, si stanno dissolvendo all’improvviso – come lui. E lui trova un piacere estremo nell’immaginare che al pianeta, per una catastrofe ecologica o bellica, toccherà la sua stessa sorte. Attende voluttuosamente che intorno le creature smettano di fiorire e riprodursi con quella serenità, precaria ma testarda, che alla sua biografia sembra negata: “I figli sono finiti” è una frase del professore, lasciata cadere già nelle prime pagine, dove si augura che la prossima pandemia stermini i giovani “o le ovaie delle donne”.
Il vecchio trova un piacere estremo nell’immaginare catastrofi. “I figli sono finiti” è l’augurio che la prossima pandemia stermini i giovani
Per reazione al dolore, questo vecchio umiliato dalla vita indossa la maschera dell’amoralità, e gode degli spettacoli in cui una forza immane si rovescia senza scampo su degli esseri inermi. In breve,........