Il romanzo di Louisa May Alcott è un libro da rileggere oggi perché dice una cosa che né Schlein né Landini hanno il coraggio di dire, ma è l’unica cosa per la quale dovrebbero combattere: “che cosa triste essere poveri”

"Natale non è Natale senza regali”, diceva Jo March. “Natale non è Natale senza regali veri”, ho imparato io a dieci anni.
Nel dicembre 1982 mia madre deve aver pensato che fosse una buona idea farmi trovare sotto l’albero Piccole Donne e non il cavallo di Barbie o il Dolce Forno o una qualsiasi cosa una bambina potesse desiderare. Era pesante, illustrato, con una copertina rigida e lussuosa. Credo avesse in mente di farmi un grande regalo. La mia reazione fu altrettanto grande: un’immensa e inconsolabile delusione. Ero forse stata cattiva? Perché diavolo volevano punirmi regalandomi un libro? Ho incassato la tristezza con la consueta capacità dei bambini di essere diplomatici, cioè mi sono messa a piangere. Non ricordo la reazione di mia madre, sicuramente il suo dispiacere era profondo, anche se non quanto il mio. Non facevo che pensare che tutti avevano ricevuto cose bellissime e io un libro. Non era un vero regalo, giacchè i libri – come le mutande e i pigiami – non dovrebbero rientrare nella categoria “regali di Natale” e questo sì dovrebbe essere inserito nella Convenzione dei diritti dell’infanzia.

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Natale non è Natale senza “Piccole donne”. O almeno così credevamo

Natale non è Natale senza “Piccole donne”. O almeno così credevamo

Il romanzo di Louisa May Alcott è un libro da rileggere oggi perché dice una cosa che né Schlein né Landini hanno il coraggio di dire, ma è l’unica cosa per la quale dovrebbero combattere: “che cosa triste essere poveri”

"Natale non è Natale senza regali”, diceva Jo March. “Natale non è Natale senza regali veri”, ho imparato io a dieci anni.
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