“Icon”, secondo album da solista dopo la parentesi Dark Polo Gang vale la pena di essere ascoltato. Sia per indagare l'evoluzione artistica del cantante, sia per i featuring presenti e i tormentoni in apertura
C’era una volta la Dark Polo Gang, ricordate? L’alba della trap, i ragazzi della Roma bene che scendono in campo sbandierando emblemi di un’ultima decadenza, fine dell’innocenza: dicono che contano solo i soldi, le pupe, il lusso, le droghe per stonarsi e ogni possibile chiave di ostentazione, per far rosicare gli altri, poveretti. E’ un fumetto, è chiaro, ma all’epoca viene preso sul serio da giornalisti e sociologi e condannato come sintomo della disgregazione e dello scadimento intellettuale, culturale e valoriale della nuova e brutta gioventù. Rampogne saccenti e banali, stupidate. In verità era un gioco e anche una vendetta: nel profluvio di chiacchiere che ridimensionava il portato di una generazione schiava degli smartphone e dai consumi superflui, questi tipi si presentavano con tutto il braggadocio che riuscivano a inventarsi, pronti a dire cose orribili su musiche sgangherate, con in più l’innervosente risultato di diventare piccoli idoli tra i loro pari (per carità, c’erano anche legioni di buoni, pronti a detestarli e a bollarli come vergogna urbana).
Del resto, su al nord, la congrega di Sfera........© Il Foglio