Nell'epoca che non riconosce più Dio, né i suoi surrogati novecenteschi, il bisogno di metafisica resta intatto. La spinta a trascendersi indica un percorso, da seguire ma anche da inventare. Tracce filosofiche lungo la strada
Metafisica. Questo il concetto, molto scivoloso, al centro di alcuni articoli che terranno compagnia ai lettori del Foglio durante l’estate. Concetto scivoloso eppure fondamentale per la storia del pensiero e quindi per la storia dell’uomo. Non è intenzione di chi scrive ricordare i modi in cui il termine metafisica è stato declinato nel corso dei secoli. L’idea è piuttosto capire come questo termine, che spesso fa tutt’uno con quello che si considera un pensiero “dell’oltre”, delle cose eterne che stanno in un Altrove, sia in realtà ciò che ci riguarda più da vicino. Ciò in cui siamo immersi come esseri viventi autocoscienti fin dal principio della nostra esperienza esistenziale.
La metafisica, come disciplina, non va pertanto identificata con la branca della filosofia che si occupa di un qualche “iperuranio”. Nella prospettiva che interessa questo dibattito, essa è la filosofia che interroga in maniera radicale il mondo, il suo “essere”. Questo modo di interrogare apre lo spazio dello “spirituale”, dello Spirito di un’epoca, ossia della forza invisibile, eppure concretissima, che dà forma a una determinata epoca. Alla base di ogni epoca vi è infatti una metafisica di qualche tipo. Anche la negazione della metafisica è metafisica poiché a una domanda “spirituale” non si può mai rispondere in termini meramente pratici. È sempre necessario uno sforzo dell’intuizione, dell’immaginazione e della logica per tentare di capire su “cosa poggia” una determinata epoca, quale sia, e se vi sia, un “fondamento” (per quanto transitorio) sul quale costruire, o a partire dal quale, invece, demolire.
Per scendere nell’attualità, si può dire che i dibattiti sulla decadenza o sul tramonto dell’Occidente hanno mostrato genericità e sostanziale superficialità riducendosi spesso a sociologismi di poco conto. È inutile continuare a discutere di decadenza senza parlare della metafisica che è alla base della nostra cultura o della metafisica possibile attraverso cui dare nuova linfa al sistema che chiamiamo Occidente (ma che ormai, nella globalizzazione dell’esperienza esistenziale, è più corretto chiamare Mondo).
La questione della metafisica è per sua natura “inattuale”. Si interroga infatti su un problema che non è legato alla contingenza del momento, ma ne rappresenta il tessuto più reale e concreto, la sua mutevole “sostanza”. Ogni epoca è la metafisica che genera e da cui è generata. Quale è la nostra metafisica? Quale potrebbe/dovrebbe essere quella che ci aspetta? Che tipo di mondo produce la metafisica che vorremmo? In che modo guardiamo il mondo e in che modo lo interroghiamo? Quale risposta riceviamo dal mondo e come veniamo formati da questa risposta?
Nessun progetto di “riforma” o di “cambiamento” in un’epoca assoluta come la nostra può prescindere da una “rifondazione metafisica” ossia dalla necessità di dare significato teoretico all’agire (cioè capire perché e in vista di cosa si agisce). Epoca assoluta, dicevo, per........