Ce n’è di materiale per la censura corrente: corna, corteggiamenti sfrontati, violenze. Ma l’ironia partenopea sa anche sdrammatizzare: “Ma pecché ce tiene ancora si chist’ommo è senza core… pecché?”

Cuori ingrati e malefemmine. Reginelle, lazzarelle e maruzzelle. Amate e idealizzate oppure deprecate e offese per ripicca dopo un rifiuto, per un paio di corna o per eccessivo indugio sentimentale. C’è abbondante materiale d’accusa perché la ghigliottina della correttezza s’abbatta sulle canzoni napoletane, decapitando nella tomba poeti e parolieri assieme ai musicisti che concorsero al reato. Neanche scamperebbero alla pena gli epigoni viventi fino al più o meno misterioso Liberato, che assurse a notorietà lamentando il tradimento subìto un Nove maggio, questo il titolo del brano, e che ancora se la prende con Partenope, archetipo di femminilità vorace, Sirena mangiatrice di un ragazzo goduto dappertutto e piantato all’improvviso, secondo la modalità che oggi i migliori della classe definiscono “ghosting”.

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Napoli canta malafemmena. Patriarcato? Sì, ma anche le matriarche non scherzavano

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Ce n’è di materiale per la censura corrente: corna, corteggiamenti sfrontati, violenze. Ma l’ironia partenopea sa anche sdrammatizzare: “Ma pecché ce tiene ancora si chist’ommo è senza core… pecché?”

Cuori ingrati e malefemmine. Reginelle, lazzarelle e maruzzelle. Amate e........

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