Con l'avvicinarsi delle elezioni europee anche il presidente francesce Emmanuel Macron e quello polacco Donald Tusk - sulla carta i più strenui sostenitori di Kyiv - spingono con Ungheria, Romania e Bulgaria per reintrodurre i dazi al grano ucraino. E Meloni che fa? Il voto dell'Italia sarà decisivo per far saltare la maggioranza qualificata al prossimo Consiglio europeo

Bruxelles. Consiglio europeo dopo Consiglio europeo, i capi di stato e di governo dei ventisette stati membri continuano a esprimere il loro “sostegno incrollabile” per l’Ucraina, vittima della guerra di aggressione della Russia. Vertice dopo vertice, promettono di aumentare il supporto finanziario, economico, umanitario e militare. Per dare concretezza a quelle parole, nel giugno del 2022, l’Ue decise di liberalizzare il commercio con l’Ucraina, compreso il settore agricolo. La fine delle quote e dei dazi è servita a tenere in vita l’economia ucraina alle prese con i missili e i campi minati, grazie alle esportazioni verso l’Ue e altri mercati mondiali. Ma, a meno di novanta giorni dalle elezioni europee, per alcuni leader, anche tra quelli che si dicono più solidali con Kyiv, l’Ucraina non vale la Coldiretti o una delle tante lobby agricole che alimenta la protesta dei trattori per spingere l’Ue a chiudere le frontiere al grano e agli altri prodotti ucraini. La carica per tornare a quote e dazi contro l’Ucraina è guidata da Francia e Polonia, due dei paesi che esprimono in pubblico il più forte sostegno. Emmanuel Macron e Donald Tusk hanno trovato nei premier filo Putin, l’ungherese Viktor Orban e lo slovacco Robert Fico, due alleati. Ultima in ordine di tempo – ma decisiva per le sorti della liberalizzazione degli scambi a favore di Kyiv – anche l’Italia di Giorgia Meloni si è unita al fronte che vuole chiudere le frontiere all’agricoltura ucraina.

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La difesa dell'Ucraina non vale un trattore di Coldiretti

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