Schedati a vita, anche se la notizia di reato era infondata. È il paradosso denunciato dall’avvocato Nicola Canestrini, del foro di Rovereto, che nelle scorse settimane ha chiesto la cancellazione dei dati di tre suoi assistiti dalla banca dati del Centro elaborazione dati (Ced), istituito con l’articolo 8 della Legge / 1/ 4/ 1981, n. 121, un calderone che contiene i dati e le informazioni ricavati da indagini di polizia o nell’attività di prevenzione o repressione dei reati. Basta, dunque, anche una semplice querela per essere registrato in quella particolare lista, dalla quale, però, non è così semplice uscire.
Tali dati, infatti, non vengono aggiornati d’ufficio: è l’interessato a doverne chiedere la cancellazione e nemmeno una sentenza di assoluzione assicura il diritto di essere depennati. E ciò nonostante una sentenza della Corte di Giustizia, che il 30 gennaio 2024 ha emesso una decisione interpretativa relativa alla Direttiva (UE) 2016/ 680, che stabilisce norme per il trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti in ambito penale ( prevenzione, indagini e sanzioni). La Direttiva impone che i dati vengano conservati solo finché strettamente necessari per lo scopo per cui sono stati raccolti, garantendo il diritto alla cancellazione o limitazione del trattamento........