«La mia forza erano la mia reputazione e la mia onorabilità, me le hanno tolte. E questa cosa si è scaricata sui miei figli, su mia moglie: non erano più persone, erano la moglie e i figli del corrotto. E questa è la cosa che a me, ancora oggi, strappa il cuore. Non mi passa. E ci vorrà tanto tempo». Stefano Esposito non ha più una comunità politica. «Sono matti a dirmi di riprovarci», dice, mentre digerisce con soddisfazione e amarezza quella verità che, evidenzia pacatamente, era già chiara sette anni fa. L’ex senatore del Pd, indagato dalla procura di Torino per corruzione e traffico illecito di influenze per ben più di un lustro, il 3 dicembre ha finalmente ottenuto l’archiviazione dell’inchiesta. Ma dai magistrati romani, dove la Cassazione aveva ordinato di spedire gli atti per competenza territoriale, dopo che la Corte costituzionale aveva sancito l’illegittimità delle intercettazioni effettuate a suo carico dalla procura, che aveva agito senza chiedere alcuna autorizzazione al Senato. Eppure, l’ex politico è stato ascoltato 500 volte, finendo su tutti i giornali, quelli che oggi gli chiedono pure conto dei suoi stati d’animo. I pm romani ci hanno messo 15 giorni a capire che non c’era nulla a sostegno di quelle accuse, tanto gravi quanto infamanti per uno che vive di politica. E gli elementi erano gli stessi in mano ai pm di Torino. «Dopo 7 anni vissuti così - racconta Esposito al Dubbio - è bello vedere scritto, nero su bianco, ciò che ho sostenuto fin dall’inizio. Ma ciò aumenta in maniera esponenziale l’amarezza per essere stato sottoposto ad un massacro e ad una gogna ingiusti, come hanno certificato i pm romani».
C’era bisogno di questa indagine? Si poteva fare, dice l’ex senatore, ma certamente si poteva e doveva chiudere rapidamente. «E invece è stata costruita, tenuta in piedi, mandata in pasto al circo mediatico giudiziario e ha........